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domenica 6 febbraio 2011

Da www.interno18.it All'ombra del Pino. La teoria delle finestre rotte: comunicare con comportamenti pratici il fatto che le regole esistono

Si parte dal presupposto che la criminalità sia un fenomeno contagioso... ma a noi italiani piacciono tanto le finestre rotte
Nel 1990, William Bratton, avendo ricevuto dal sindaco di New York, Rudolph Giuliani, l'incarico di gestire la sicurezza nella metropolitana della Grande Mela, decise di ispirarsi alla teoria delle “finestre rotte” per ridurre la criminalità. La teoria consiste in questo: una finestra rotta in uno stabile dà l'impressione di assenza di regole e ciò invoglia i passanti a romperne altre, si innesca in tal modo una spirale di vandalismo senza fine; se la finestra viene invece prontamente riparata, il processo di solito si ferma. Bratton inizia così una campagna di repressione dei piccoli crimini. Inizia a spedire la maggioranza dei suoi uomini a pattugliare stazioni e convogli in cerca dei viaggiatori sprovvisti di biglietto. L'iniziativa si rivela un trionfo: la presenza di poliziotti incaricati di far rispettare la legge porta alla netta riduzione di questi reati minori.
Successivamente, con il consolidamento dell'operazione, Bratton e soci vedono diminuire drasticamente anche i reati più gravi, come stupri e omicidi. Il responsabile della sicurezza viene allora spostato a dirigere la polizia “di superficie”, con analoghi successi. La rivoluzionaria teoria delle finestre rotte si basa sul principio dei “piccoli passi”. In pratica parte dal presupposto che la criminalità è una sorta di fenomeno contagioso, come è contagiosa una tendenza della moda, che può iniziare con una finestra rotta e diffondersi a un'intera comunità. La maggior parte dei comportamenti non nasce da un particolare tipo di persona, ma da una caratteristica dell'ambiente circostante. La criminalità è l'inevitabile risultato del disordine: se una finestra è rotta e non viene riparata, chi vi passa davanti concluderà che nessuno se ne preoccupa, che nessuno si fa carico di provvedere a che ciò non avvenga e che dunque è un fenomeno tollerato, pertanto riproducibile con... la rottura delle altre finestre ancora sane. Ben presto, quindi, ne verranno rotte molte altre e la sensazione che tutto sia consentito si diffonderà da quel palazzo alla strada su cui si affaccia, dando così il segnale che tutto è possibile.
Partendo da questa teoria, mi pare, ahimè, che la nostra Italia potrebbe ben essere definita, in particolare in questo momento storico, “il Paese delle finestre rotte”. Ogni volta che una nuova finestra viene danneggiata, immediatamente si comincia a romperne un numero infinito; e magari, paradossalmente, si cerca anche una giustificazione per il nuovo comportamento antisociale, per poter, così, addirittura legalizzarlo. La legalizzazione del comportamento antisociale dipende dalla sua diffusione. Più gente pratica il reato, più è probabile che il Parlamento legiferi, o ometta di legiferare, per renderlo ammissibile, o almeno non punibile. Oppure alza il livello di tolleranza. Se si leva qualche timida protesta, ecco che al cittadino zelante vanno spiegate le regole della convivenza... incivile. E magari lo si intimidirà quel cittadino, lo si bastonerà dandogli del populista, del demagogo o del qualunquista. Da noi, se chiedi e pretendi l'applicazione della legge, manca poco che ti accusino di essere pure antidemocratico. E via... ogni giorno nuove finestre rotte. E chi le rompe fa anche proseliti. Tanto così fan tutti. Anzi, più rompi e più diventi persona di successo, e quindi potrai diventare politico, e una volta politico anche intoccabile. E potrà persino accaderti che un giorno ti intitolino piazze e vie (sulle quali si affacceranno, ça va sans dire, edifici con...le finestre rotte).
E se per qualche vicissitudine personal-politica diventassi un latitante, potresti addirittura correre il rischio un dì d’essere commemorato come statista. Noi italiani siamo attratti dalle finestre rotte, quanto ci piacciono! E adoriamo da morire quelli che le scassano: più schiantano finestre e più gli vogliamo bene. Perché li sentiamo vicini, loro sono noi. O meglio, parte di noi. O meglio ancora, parte di quella parte brutta, stronza e figlia di buona donna di noi. Quella che abbiamo tutti e che siamo costretti a tenere repressa per dovere sociale, per convivenza sociale, per non far diventare il mondo un casino, ma che se ci sentiamo autorizzati a poter sciogliere... viaaaaa, e chi la ferma più.
E con tanti ringraziamenti e battimani - e voti, se del caso - a chi ci consente di non tenere alla catena quel Mr. Hyde che ciascuno di noi contiene (nel duplice significato di aver dentro e di tenere a bada). Eppure c’è un caso in cui la finestra rotta proprio non ci piace, in cui anche la minima scalfittura del metaforico infisso ci provoca sdegno, rabbia e reazione: quando la finestra rotta... è quella di casa nostra! Insomma, le regole sono necessarie, indispensabili e non vanno invocate solo quando riteniamo che la loro mancata osservanza stia minando un nostro interesse personale. Come è necessario che, affinché esse siano credibili e che non restino mere parole scritte su un pezzo di carta, coloro che quelle regole le scrivono o delle quali sono i custodi - in pratica la testa del “pesce”, quella che proverbialmente non dovrebbe puzzare - debbano essere i primi ad osservarle. E poi bisogna saper comunicare con comportamenti dissuasivi concreti, anche repressivi, e severi quanto basta, il fatto che in una società civile esistono dei “paletti”, che certi limiti non vanno oltrepassati, e che quindi, per esempio, le auto non si parcheggiano in doppia fila, che il biglietto del treno si paga, che la spazzatura non si butta per le strade e via discorrendo. Con la rimozione di questi comportamenti devianti minori si produrrebbe un circolo virtuoso che consentirebbe di creare il terreno adatto anche per la sconfitta dei reati più gravi. Perché non potremmo provarci anche nella nostra città? E perché non nell’intera nazione? Ma cos’hanno più di noi... gli svizzeri!?
Mi calo il cappello sugli occhi e mi addormento.
Pino D'Agostino in Rubriche

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