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sabato 26 febbraio 2011

Dal blog di Mario Tudisco Caro amico ti scrivo/"Sanità pubblica, politica e servizi"

Poche sere fa sono stato costretto a recarmi al “Pronto soccorso” dell’Ospedale Cardarelli di Napoli per accompagnarvi un congiunto bisognoso di cure immediate. E’ stato come scendere in una bolgia infernale in cui non si capisce nulla circa la direzione da prendere e si cammina alla ricerca di qualcosa che non si trova. Decine e decine le barelle occupate da malati in attesa del loro turno, disposte in ordine sparso in un corridoio. Medici ed infermieri estremamente professionalizzati , dotati di spirito di sacrificio , ma afflitti dalla mole di lavoro e, perciò, completamente disumanati, tentavano di districarsi in quel caos che richiede una grande soglia di tolleranza. Gli infermi , coperti da qualche lenzuolo che nascondeva a malapena il corpo , evidenza della malattia e della sofferenza, venivano smistati dopo i primi accertamenti e soccorsi verso il Reparto di Medicina d’urgenza ove venivano parcheggiati, in fila indiana, in un secondo corridoio di circa un metro di larghezza affollato di parenti.


Di fronte a questo spettacolo il mio pensiero è andato per un attimo alla privacy, il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita, invocato ( in maniera retorica), da alcuni politici, contro l’uso delle intercettazioni telefoniche , ma che negli Ospedali pubblici sembra proprio non albergare. La sofferenza necessiterebbe di ben altro atteggiamento di profondo rispetto e pudore per evitare di invadere l’estrema intimità del momento. E, invece, i corpi, proprio quando li si mette nelle mani dell’altro, li si lascia conoscere senza più ritegno, sono abbandonati a mostrare le loro nudità dolenti.

Nella sofferenza viene immediatamente cancellato ogni diritto alla riservatezza. Solo i riti collettivi e mediatici , non quelli personali meritano attenzione. I grandi funerali televisivi sono “ lo scialo della sofferenza” ripresa e trasmessa più volte , sezionata ed analizzata fino a dissolvere le persone soggetto, le loro storie e la loro realtà umana ; nessun dramma è degno della dovuta privacy, ma solo dell’emozione momentanea, nessuna angoscia ottiene più condivisione, ma solo visione esterna. Ogni discrezione deve lasciare il posto ad una socialità priva di socievolezza, ad vicinanza priva di relazione.

Pare quasi che il dolore individuale debba essere chiuso in un laboratorio scientifico, in un Ospedale pubblico, da dove bandire ogni forma di tenerezza e di prossimità.

Per chi resta fuori dall’esteriorità e dai riti pubblici ed è abituato , per formazione culturale, a vedere ed operare entro singole storie personali e raccogliere il grido della sofferenza, non rimane che lo spaesamento.

L’indice di civiltà di un popolo non si misura purtroppo , da tempo, con i livelli di assistenza pubblica fornita , ma con il c.d. PIL ,valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese , che impone vincoli di spesa e nasconde, dietro le false ossessioni del disavanzo pubblico e dell’ inflazione, la ferma volontà di prosciugare i flussi di moneta destinati alla spesa pubblica procedendo al depauperamento progressivo del welfare .

In un periodo di crisi si dovrebbe avvertire l’esigenza di approntare una significativa politica redistributiva atta a ridurre i costi sociali, oggi sostenuti dai singoli e dalle famiglie, attraverso l’offerta di prestazioni pubbliche. Viceversa, si riducono posti letto, si chiudono Ospedali, si privatizza l’assistenza con le conseguenze sopra descritte. Il disegno è quello di far coincidere la riforma del welfare con la privatizzazione che produce effetti socialmente devastanti: riduzione dell’occupazione, aumento delle tariffe, riduzione qualitativa e quantitativa dello stesso servizio.

La politica e l’economia giustificano, all’unanimità, questo processo come inevitabile per rimanere competitivi nel mercato globale mentre i nostri politologi ( nazionali e locali) continuano a chiedersi quale schieramento e/o lista elettorale sia preferibile e quale possa essere il prossimo “uomo della provvidenza”, laddove le domande da porsi sarebbero altre :

• in quale partito si continua a dibattere di sanità e servizi , qualora siano mai state discusse in un passato lontano e/o vicino?

• Esistono persone con cui semplicemente parlarne nelle sedi politiche ormai vuote ?

Forse su questo dovremmo “laicamente” interrogarci tagliando finalmente quel cordone ombelicale che ci lega alle formazioni politiche e/o liste elettorali ( o alla loro ideologizzazione)

La politica non ha bisogno di Ospedali pubblici perché al momento opportuno si rifugia in strutture private dove ad attenderla trova tante belle camerette confortevoli adatte a preservare l’intimità. Ad essa non possiamo continuare a chiedere sommessamente di concretizzare cose fattibili e realizzabili , perché il nostro rifiuto di gente comune , di continuare a subìre l’esclusione è radicale e richiede scelte radicali. Il solo prendere atto che lo “stato di bisogno” è un -cancro lento ed inesorabile della dignità umana- può trasformarsi in un’insorgenza a patto di non mistificare la propria realtà e di sentirsene parte . Due nature individuali si incontrano positivamente se hanno qualcosa in comune e l’una è utile all’altra; all’inverso se le due nature non hanno niente in comune l’una danneggia l’altra.

Forse è su questo che dovremmo riflettere per acquisire la consapevolezza che le possibilità di scelta e di alternative non passano attraverso un voto, ma nella sperimentazione di un’intesa diretta con l’altro da ricercare nella pratica di vita quotidiana.



Gerardo D’Amore 

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