All'indomani della caduta della giunta Giudicianni, se percorrevi le principali vie cittadine, ti potevi imbattere in persone nei cui volti si potevano leggere frasi come queste: "mi candiderò a fare il sindaco", oppure "mi candiderò a fare il consigliere comunale". Vi era un fervore politico paragonabile neppure a quello vissuto per le elezioni politiche del 1948. Per quasi due mesi spuntavano candidati sindaci e candidati consiglieri da ogni parte, alcuni magari erano nomi
da barzelletta, mentre altri erano nomi più seri ed attendibili. Poi la cosa è andata lentamente scemando,fino ad arrivare al punto che, a meno di un mese dalla presentazione delle liste,è caccia aperta ai nominativi dei candidati sindaci.
Da vecchio enigmista posso azzardare a proporre per questa sciarada due tipi di soluzione.La prima,quella più spicciola, è improntata alla faciloneria del momento.Durante la rivoluzione francese, nel periodo del Terrore,erano in molti a proporsi come "capitani del popolo" di primo mattino, mentre nel tardo pomeriggio le loro teste cadevano nel cesto della ghigliottina. Esaurito allora il tema della faciloneria,resta quello più complesso dell'autorevolezza.
Fra i nomi dei candidati sindaci,oltre a quelli dei vooltagabbana di professione,vi erano persone degne di stima che, parimenti,ora si sono dati alla macchia.Ed allora mi sono detto:"qua è questione di paura". E forse l'ho quasi azzeccata! Dopo tangentopoli,quel "tintinnio di manette" forgiato da Scalfaro,molti amministratori comunali di notte se lo sognano spesso.
Oggi un sindaco,per il grande potere che il legislatore gli offre,diventa un organismo fragile difronte alla complessità delle onerose mansioni che lo attendono.
Ad ogni passo che dà potrebbe celarsi il trabocchetto che lo ingoia,ed ecco perchè dovrà cautelarsi fino all'inverosimile.

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