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giovedì 24 novembre 2011

SANTA MARIA CHE BELLA CITTA’. SI MANGIA, SI BEVE E L’AMORE SI FA.




E’ una città, la nostra, in cui tutto sembra avvenire in una dimensione "astorica" , "stabile", quasi immobile, anzi: “immobiliare”.
L’aumento esponenziale dei manufatti edili  è la forma che il “nuovo” assume nella nostra esperienza quotidiana. La percepiamo come un brusìo quando la osserviamo dal cavalcavia scappando veloci con le nostre automobili e/o quando attraversiamo quel pulviscolo di edifici ammassati che costituisce il DNA di una città sempre più “larga” e diffusa nel territorio e non per esigenze abitative.
Per ricostruire il percorso della sovranità sul nostro territorio basta seguire quello dei diritti “ sugli immobili” , dirigere la nostra attenzione verso l’unico motore della  trasformazione di S.Maria C.V. : il mercato immobiliare che privilegia l’interesse di chi, essendo proprietario del suolo , è diventato il padrone indiscusso della città. Ad esercitare il “vero” potere , non è la politica, ma un apparato ben radicato sugli investimenti sui terreni  che aumentano di valore di anno in anno, una sorta di notabilato della edificabilità ad ogni costo, (innominato ed innominabile), ossequiato in silenzio e legittimato da un diritto non scritto,  da un potere riconosciuto nei fatti .
Lo sviluppo fondiario cittadino, ha occupato progressivamente gli spazi pubblici e tende, per sua natura al  monopolio  –al controllo speculativo della terra – producendo il declino dei piccoli imprenditori edili e la crescita delle grandi imprese immobiliari- dei costruttori di comunità residenziali spesso provenienti da zone limitrofe , ma ben radicati nella nostra città , che hanno potuto accumulare indisturbati fortune economiche in tempi non lontani e oggi sono indagati per i loro rapporti con la criminalità organizzata di Casale. 
Sono stati favoriti, nella loro ascesa, dai  banchieri della terra , intermediari finanziari   che si sono spinti,frequentemente,  più avanti rispetto alle proprie attività speculative inserendosi in settori diversi da quello bancario di concerto con  i Notari che guidano, consigliano, ispirano e propongono business - Les affaires sont les affaires.
Il referente stabile di questo potere immobiliare è rappresentato dalla burocrazia amministrativa del decentramento statale che si costituisce , a sua volta, in “potenza reale” più della politica che  , invece, si sa, è transitoria. La Bassanini ha incrementato ancor di più la  funzione di terzietà ingannevole e di durevolezza di tale ceto. A che serve rivolgersi all’Assessore all’urbanistica per ottenere una concessione edilizia quando l’autorità preposta è il Dirigente comunale?
Intorno alla categoria sociale dirigenziale/amministrativo si coagula il mondo delle professioni, l’ambiente accademico che mostra un interesse per il pubblico in quanto fonte di commesse e consulenze.
Anche alla Magistratura viene riconosciuto un ruolo “autonomo” di equilibrio. La sua funzione primaria sembra essere quella di nicchiare su transazioni dubbie alzando il vessillo della legalità (pleonastica quanto dotta) , ma sempre e solo teorica e senza spargimento di sangue.Discorso a parte meritano molti politici che rappresentano un elemento di forte continuità per il loro attaccamento al potere concepito come un mestiere  svolto al servizio di gruppi, di ceti e di lobby. Preferiscono essere sempre al governo, per decidere, e quando sono costretti a non farne parte, allora, fanno appello a tutte le loro qualità “ moralizzatrici” per legittimarsi come gli unici in grado di fare gli interessi dei padroni della città, badando, però, attentamente a non correre il rischio conseguente a ciò che dicono.Cambia il colore politico delle Giunte, ma non muta il “realismo politico” che le ispira e prende il sopravvento subordinando i diritti individuali e collettivi alle contingenze storico/economiche ,consegnandoli ai voleri delle maggioranze e del potere immobiliare.
E’ doloroso , come uomo della sinistra dover ammettere il fallimento della “propria” parte politica che anzi ha rappresentato per più di quindici anni l’elemento di maggiore “conservazione”. Tutti ricorderanno, al riguardo, la famosa parola d’ordine, molto rappresentativa,  adottata all’indomani delle dimissioni del Sindaco Iodice: “continuità nella discontinuità”. Un ossimoro grigio e, a prima vista insignificante, cui era affidato però, a ben guardare, il compito di lanciare un preciso messaggio: “gli uomini sono surrogabili, ma non gli interessi. Non c’è da preoccuparsi.”In questa realtà da incubo è ancora possibile ristabilire un rapporto che non sia di dominio con il proprio territorio?Non saprei dire se tutto è già irrimediabilmente compromesso. Quello di cui sono certo, però, e che non si può chiamare “città” o, meglio “casa propria”,  “il luogo ove si è chinato la testa”.
In questi momenti di crisi ( e di disperazione per alcune famiglie) il territorio , l’ambiente in cui si vive può essere di conforto (se non ci è estraneo ed ostile) permette almeno di soddisfare il proprio bisogno d’una cosa da tener stretta mentre tutto viaggia ad una velocità incomprensibile e sembra sfuggire.
Sono i nostri ricordi personali, soprattutto quelli dei luoghi, la nostra vera storia , non quelli che ci vengono da mondi lontani. E’ la genealogia a consentirci di uscire dai siti angusti e soffocanti del comando e della politica. Oggi, se democrazia cerchiamo, dobbiamo pensarla in termini radicalmente differenti: come gestione comune da parte del comune, ricerca disperata  di tutto ciò che “in mezzo all’inferno o al deserto della città, è meno inferno e meno deserto”.      
Gerardo D’Amore

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