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venerdì 2 ottobre 2015
Fioretti di San Francesco: capitolo tredici
Come san Francesco e frate Masseo il pane che avevano accattato lo
puosono in su una pietra allato a una fonte, e san Francesco lodò molto
la povertà. Po pregò Iddio e san Pietro e san Paolo che gli mettesse
in amore la santa povertade, e come gli apparve san Pietro e san Paolo.
Il maraviglioso servo e seguitatore di Cristo, cioè san Francesco, per conformarsi perfettamente a Cristo in ogni cosa, il quale, secondo che dice il Vangelio, mandò li suoi discepoli a due a due a tutte quelle città e luoghi dov’egli dovea andare; dappoichè ad esempio di Cristo egli ebbe ragunati dodici compagni, sì li mandò per lo mondo a predicare a due a due. E per dare loro esempio di vera obbedienza, egli prima incominciò ad andare ad esempio di Cristo, il quale in prima incominciò a fare che insegnare. Onde avendo assegnato a’ compagni l’altre parti del mondo, egli prendendo frate Masseo per compagno, prese il cammino verso la provincia di Francia. E pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo la regola , mendicando del pane per l’amore di Dio; e san Francesco andò per una contrada, e frate Masseo, per un’altra. Ma imperocchè san Francesco era uomo troppo disprezzato e piccolo di corpo, e perciò era riputato un vile poverello da chi non lo conosceva, non accattò se non pochi bocconi e pezzuoli di pane secco; ma frate Masseo, imperocch’egli era grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e grandi e assai, e del pane intero. Accattato ch’egli ebbono, sì si raccolsono insieme fuori della villa in un luogo, per mangiare, dov’ era una bella fonte, e allato avea una bella pietra larga; sopra la quale ciascuno puose tutte le limosine che avea accattate. E vedendo san Francesco che li pezzi del pane da frate Masseo erano più e più belli e più grandi che li suoi, fece grandissima allegrezza, e disse così: O frate Masseo, noi non siamo degni di così grande tesoro; e ripetendo queste parole più volte, rispuose frate Masseo: Padre, come si può chiamare tesoro dov’ è tanta povertade e mancamento di quelle cose che bisognano? qui non tovaglia, nè coltello, nè tagliere, e nè scodelle, nè casa, nè mensa, nè fanti, nè fancelle. Disse san Francesco: E questo è quello ch’io reputo grande tesoro, ove non è cosa veruna apparecchiata per industria umana; ma ciò che ci è, sì è apparecchiato dalla provvidenza divina, siccome si vide manifestamente nel pane accattato, nella mensa della pietra così bella e nella fonte così chiara; è però io voglio che noi preghiamo Iddio che ’l tesoro della santa povertà così nobile, il quale ha per servidore Iddio, ci faccia amare con tutto il cuore. E dette queste parole, e fatto orazione, e presa la rifezione corporale di questi pezzi del pane e di quella acqua, si levarono per camminare in Francia, e giugnendo ad una chiesa, disse san Francesco al compagno: Entriamo in chiesa ad orare. E vassene san Francesco dietro all’altare e puonsi in orazione: e in quella orazione ricevette dalla divina visitazione sì eccessivo fervore, il quale infiammò sì fortemente l’anima sua ad amore della santa povertade che, tra per colore della faccia e per lo nuovo isbadigliare della bocca, parea che gittasse fiamme d’amore. E venendo così infuocato al compagno, sì gli disse: A. A. A., frate Masseo, dammi te medesimo; e così disse tre volte: e nella terza volta san Francesco levò col fiato frate Masseo in aria, e gittollo dinanzi a sè per ispazio d’una grande asta; di che esso frate Masseo ebbe grandissimo stupore. Recitò poi ai compagni che, in quello levare e sospingere col fiato il quale gli fece san Francesco, egli sentì tanta dolcezza d’animo e consolazione dello Spirito Santo che mai in vita sua non ne sentì tanta. E fatto questo, disse san Francesco: Compagno mio, andiamo a s. Pietro e a s. Paolo, e preghiamgli ch’eglino ci insegnino e aiutino a possedere il tesoro ismisurato della santissima povertade; imperocchè ella è tesoro sì degnissimo e sì divino che noi non siamo degni di possederlo nelli nostri vasi vilissimi; conciossiacosachè questa sia quella virtude celestiale per la quale tutte le cose terrene e transitorie si calcano, e per la quale ogni impaccio si toglie all’anima, acciocchè ella si possa liberamente congiugnere con Dio eterno. E questa è quella virtù la quale fa l’anima, ancor posta in terra, conversare in cielo con gli Angeli, e questa è quella ch’accompagnò Cristo in sulla croce, con Cristo fu seppellita, con Cristo risuscitò, con Cristo, salì in cielo; la quale eziandio in questa vita concede all’anime, che di lei innammorano, agevolezza di volare in cielo; conciossiacosach’ella guardi l’arme della vera umiltà e carità. E però preghiamo li santissimi apostoli di Cristo, li quali furono perfetti amatori di questa perla evangelica, che ci accattino questa grazia dal nostro Signore Gesù Cristo, che per la sua santissima misericordia ci conceda di meritare d’essere veri amatori, osservatori ed umili discepoli della preziosissima, amatissima ed evangelica povertade. E in questo parlare giunsono a Roma ed entrarono nella chiesa di San Pietro; e san Francesco si puose in orazione in un cantuccio della chiesa, e frate Masseo nell’altro; e stando lungamente in orazione con molte lagrime e divozione, apparvero a san Francesco li santissimi apostoli Pietro e Paolo con grande isplendore, e dissero: Imperocchè tu addimandi e desideri di osservare quello, che Cristo e li santi apostoli osservarono; il Signore Gesù Cristo ci manda a te ad annunziarti che la tua orazione è esaudita, ed etti conceduto da Dio, a te, e a’ tuoi seguaci perfettissimamente il tesoro della santissima povertade. E ancora da sua parte diciamo che qualunque a tuo esempio seguiterà perfettamente questo desiderio egli è sicuro della beatitudine di vita eterna; e tu e tutti i tuoi seguaci sarete da Dio benedetti: e dette queste parole, disparvono, lasciando san Francesco pieno di consolazione. Il quale si levò dalla orazione, e ritornò al suo compagno, e domandollo se Iddio li avea rivelato nulla; ed egli rispuose che no. Allora san Francesco gli disse come li santi apostoli gli erano appariti, e quello che gli aveano rivelato. Di che ciascuno pieno di letizia diterminorono di tornare nella valla di Spoleto, lasciando l’andare in Francia.

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