prova


Non lasciare mai, che il successo ti nasconda la sua vacuità, un' impresa la sua vanità, la fatica la sua desolazione. Mantieni vivo dentro di te l' incentivo ad andare ancora più avanti, quell' inquietudine dell' anima che ci spinge al di là di noi stessi. Non guardare indietro, e non accarezzare sogni per il futuro. Ciò non verrebbe nè a restituirti il passato nè a soddisfare gli altri tuoi sogni ad occhi aperti. Il tuo dovere, la tua ricompensa, il tuo destino sono qui ora.
(Dag Hammaarskjold, Markings)
Dobbiamo accettare le delusioni che sono limitate, ma non dobbiamo mai perdere l'infinita speranza.
(Martin Luther King)
Noi non dimentichiamo e non demordiamo.
Quanno 'a furmicola vò murì, mètte è scèlle. Si dice di chi, raggiunta la ricchezza, perde ogni senso della misura e finisce per far cose illogiche e per danneggiare se stesso.
Quanno ò perucchio saglie in gloria perde à scienza e à memoria. Il villano che sale nella scala sociale dimentica subito la sua origine e coloro che lo hanno agevolato nella ascesa.

giovedì 5 maggio 2016

Beato Nunzio Sulprizio


Nunzio nasce a Pescosansonesco (PE) il 13 aprile 1817, domenica “in albis”, dai giovani sposi Domenico Sulprizio, calzolaio, e Rosa Luciani, filatrice; è battezzato nel pomeriggio dello stesso giorno. Nell’agosto del 1820, a soli 26 anni, muore il padre e il 5 marzo 1823 muore anche la mamma; Nunzio ha solo sei anni e la nonna materna Rosaria Luciani lo ospita in casa, prendendosi cura di lui. È analfabeta, ma ha una fede e una bontà grandissime: nonna e nipotino camminano sempre insieme: insieme alla preghiera, alla Messa, nei piccoli lavori di casa. Il bambino frequenta la scuola istituita da don Fantacci, per i fanciulli più poveri e lì cresce, in sapienza e virtù: è un puro di cuore che si delizia a servire la Messa, a far visita a Gesù Eucaristico nel Tabernacolo, molto spesso.

Quando ha appena nove anni, il 4 aprile 1926, gli muore la nonna. Solo al mondo, è accolto in casa – come garzone – dallo zio Domenico Luciani – detto “Mingo” – il quale subito lo toglie dalla scuola e lo “chiude” nella sua bottega di fabbro-ferraio, impegnandolo nei lavori più duri, senza alcun riguardo all’età e alle più elementari necessità di vita. Spesso lo tratta male, lasciandolo anche senza cibo, quando a lui sembra che non faccia ciò che gli è richiesto. Lo manda a far commissioni, senza curarsi né delle distanze, né dei materiali da trasportare, né degli incontri buoni o cattivi che può fare. Allo “sbaraglio”, sotto sole, neve, pioggia, vestito sempre allo stesso modo. Non gli sono risparmiate neppure le percosse, “condite” da parolacce e bestemmie.

Presto si ammala. Un rigido mattino d’inverno, lo zio Mingo lo manda, con un carico di ferramenta sulle spalle, su per le pendici di Rocca Tagliata, in uno sperduto casolare. Vento, freddo e ghiaccio lo stremano; lungo il cammino mette i piedi accaldati in un laghetto gelido. A sera rientra spossato, con una gamba gonfia, la febbre che lo brucia, la testa che scoppia. Va a letto, senza dir nulla, ma l’indomani non regge più.
Lo zio gli dà come “medicina”, quella di riprendere il lavoro, perché “se non lavori, non mangi”. Nunzio, in certi giorni, si trova costretto a chiedere un pezzo di pane ai vicini di casa. Risponde con il sorriso, la preghiera, il perdono: “Sia come Dio vuole. Sia fatta la volontà di Dio”. Appena può, si rifugia a pregare in chiesa, davanti al Tabernacolo: gioia, energia e luce gli vengono da Gesù-Ostia, così che, appena adolescente, è in grado di dar consigli sapientissimi ai contadini che lo interpellano.

Si trova con una terribile piaga a un piede, che presto andrà in cancrena. Lo zio gli dice: “Se non puoi più alzare il maglio, starai fermo a tirare il mantice!”: è una tortura indicibile. La piaga ha bisogno di continua pulizia e Nunzio si trascina fino alla grande fontana del paese per pulirsi ma di lì viene presto cacciato, come un cane rognoso, dalle donne che, venendo lì a lavare i panni, temono che inquini l’acqua. Trova allora una vena d’acqua a Riparossa, dove può provvedere a se stesso, impreziosendo il tempo lì trascorso con molti Rosari alla Madonna.

Tra l’aprile e il giugno 1831, è ricoverato all’ospedale dell’Aquila, ma le cure sono impotenti. Per Nunzio sono settimane però di riposo per sé, di carità per gli altri ricoverati, di preghiera intensa. Rientrato in casa, è costretto dallo zio a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Finalmente, lo zio paterno, Francesco Sulprizio, militare a Napoli, informato da un uomo di Pescosansonesco, fa venire Nunzio a casa sua e lo presenta al Colonnello Felice Wochinger, conosciuto come “il padre dei poveri”, per la sua intensa vita di fede e per l’inesauribile carità. Nunzio ha 15 anni e Wochinger scopre di avere davanti un vero “angelo” del dolore e dell’amore a Cristo, un piccolo martire.

Il 20 giugno 1832, Nunzio entra all’Ospedale degli Incurabili per le cure e il Colonnello provvede a tutte le sue necessità. Medici e malati si accorgono di avere davanti un altro “S. Luigi”. Un buon prete gli domanda: “Soffri molto?”. Risponde: “Sì, faccio la volontà di Dio”. “Che cosa desideri?”. “Desidero confessarmi e ricevere Gesù Eucaristico per la prima volta!”. “Non hai ancora fatto la prima Comunione?”. “No, dalle nostre parti, bisogna attendere i 15 anni”. “E i tuoi genitori?”. “Sono morti”. “E chi pensa a te?”. “La Provvidenza di Dio”.
Viene subito preparato alla prima Comunione: per Nunzio è davvero il giorno più bello della sua vita. Il suo confessore dirà che “da quel giorno la Grazia di Dio incominciò a operare in lui fuori dell’ordinario, da vederlo correre di virtù in virtù. Tutta la sua persona spirava amore di Dio e di Gesù Cristo”.
Per circa due anni, soggiorna tra l’ospedale di Napoli e le cure termali a Ischia, ottenendo qualche passeggero miglioramento. Lascia le stampelle e cammina solo con il bastone. Finalmente è più sereno: prega molto, stando a letto, o andando in cappella davanti al Tabernacolo, al Crocifisso e all’Addolorata. Si fa l’angelo e l’apostolo degli altri ammalati; insegna il catechismo ai bambini ricoverati, preparandoli alla prima Confessione-Comunione, a vivere più intensamente da cristiani, a valorizzare il dolore. Quelli che lo avvicinano sentono in lui il fascino della santità.
Il colonnello gli sta molto vicino: dal primo giorno, lo ha chiamato “Figlio mio” o “bambino mio”, ricambiato sempre da lui, con il nome di “papà mio”. Ora comprende che purtroppo si avvicina l’ora della separazione che solo la fede consola nella certezza dell’“arrivederci in Paradiso”.

Nel marzo 1836, la situazione di Nunzio precipita. La febbre è altissima, il cuore non regge più, le sofferenze sono acutissime. Prega e offre, per la Chiesa, per i sacerdoti, per la conversione dei peccatori. Quelli che passano a trovarlo, raccolgono le sue parole: “Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo in Paradiso”. “Gesù ha sofferto molto per me. Perché io non posso soffrire per Lui?”. “Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore”.
Il 5 maggio 1836, Nunzio si fa portare il Crocifisso e chiama il confessore. Riceve i Sacramenti, come un santo. Consola il suo benefattore: “State allegro, dal Cielo vi assisterò sempre”. Verso sera, dice, tutto contento: “La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!”. A 19 anni appena, va a vedere Dio per sempre. Attorno si spande un profumo di rose.
Il suo corpo, disfatto dalla malattia, diventa singolarmente bello e fresco e rimane esposto per cinque giorni. Il suo sepolcro è subito meta di pellegrinaggio.

Il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878), il 9 luglio 1859, lo dichiara “eroico nelle sue virtù” e quindi “venerabile”.
Il 1° dicembre 1963, davanti a tutti i Vescovi del mondo riuniti nel Concilio Vaticano II, il Beato Paolo VI innalza Nunzio Sulprizio agli onori dell'altare.
Il Beato Nunzio Sulprizio, modello per i giovani operai e per tutti i giovani, viene considerato il protettore degli invalidi e delle vittime del lavoro ed oggi, il suo Santuario, a Pescosansonesco, è meta di numerosi pellegrinaggi.
Le sue spoglie sono conservate nella Chiesa di San Domenico in Soriano in Piazza Dante a Napoli.

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Caino e Abele

Da Baudelaire "I fiori del male" la poesia "Caino e Abele"

Dioscuro...

Abbiamo parlato più volte dei "Fiori del Male" di Baudelaire, ma ci sono dei versi che hanno sempre attirato la mia attenzione, sono le razze di Caino e Abele.
Sono metafore delle tipologie di umanità che adottano rispettivamente modi di esistere opposti.
Chi vive nella religione e nella prosperità, appagato dall'appoggio della divinità e della sua coscienza, contro chi vive l'umanità nella sua essenza più carnale, asseconda i suoi istinti e ne è condannato. Contadini contro cacciatori, santità contro umanità, ricchezza contro povertà, beatitudine contro dannazione.
Si parla di razze, quindi non c'è scelta. Voi siete più Caino o Abele? :)

Caino e Abele

Razza d'Abele, dormi, bevi e mangia:
con che compiacimento ti sorride Dio!

Razza di Caino, striscia
nel fango e muori miserabile!

Razza d'Abele, il tuo sacrificio
accarezza il naso ai Serafini!

Razza di Caino, il tuo supplizio
potra mai avere fine?

Razza d'Abele, guarda prosperare
II tuo bestiame e le tue semine!

Razza di Caino, le tue viscere
urlano di fame come un vecchio cane!

Razza d'Abele, scaldati il ventre
al focolare patriarcale!

Razza di Caino, trema di freddo
nel tuo antro, povero sciacallo!

Razza d'Abele, ama e prolifica!
Anche il tuo oro si moltiplica!

Razza di Caino, guardati
dalle grandi brame, cuore ardito!

Razza d’Abele, tu cresci e ti pasci
come le cimici dei boschi!

Razza di Caino, trascina per le strade
la tua famiglia disperata!

Razza d'Abele, la tua carogna
ingrasserà la fumante terra!

Razza di Caino, il tuo compito
non è ancora finito!

Razza d'Abele, vergognati!
II ferro e vinto dallo spiedo!

Razza di Caino, sali al cielo
e scaraventa sulla terra Dio!

C. Baudelaire
Le Fleurs du Mal

Johnny:
Io sono molto più Abele, mi hanno già ucciso diverse volte....

Goethe:
Io sono Abele con Caino.
E sono Caino con Abele.

Intelligenti Pauca

CITAZIONE DI SAN FRANCESCO DI SALES

PAROLE DI SAN FRANCESCO DI SALES PER I FALSI FARISEI DI ALCUNE PARROCCHIE DELLA DIOCESI DI CAPUA

“NON ACCONTENTARTI DI ESSERE POVERO COME I POVERI, MA SII PIU’ POVERO DEI POVERI, VA A SERVIRLI QUANDO GIACCIONO A LETTO INFERMI E DEVI SERVIRLI CON LE TUE PROPRIE MANI.

QUESTA SERVITU’ E PIU’ GLORIOSA DI UN REGNO”.

CITAZIONE DEL GIORNO

MA COME CALZA BENE PER QUESTA CITTA'!
PROBABILMENTE AVEVA SOGGIORNATO PER UN PERIODO DI TEMPO A S MARIA…


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BIAGIO MARIA DI MURO

RISPONDIAMO AL NUOVO CITTADINO C.DV.CHE DA QUALCHE MESE SI E’ TRASFERITO DAL LAZIO IN CAMPANIA E PRECISAMENTE A S.MARIA CAPUA VETERE IN VIA GALATINA CHE CI HA CHIESTO CHI ERA IL SINDACO DELLA CITTA’.

BIAGIO MARIA DI MURO

BIAGIO MARIA DI MURO

BIAGIO DI MURO

TI RIMETTO LA FOTO DI BIAGIO DI MURO E UNA PARTE DEL SUO CURRICULUM VITAE

BIAGIO DI MURO SI E’ LAUREATO, IL 30/10/1995, CON 110 E LODE IN ARCHITETTURA PRESSO L’UNIVERSITA’ DI NAPOLI, CON UNA TESI SPERIMENTALE IN SCIENZE DELLE COSTRUZIONI ED E’ ISCRITTO ALL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DELLA PROVINCIA DI CASERTA AL N. 872.

SVOLGE UNICAMENTE LA LIBERA PROFESSIONE ED HA LO STUDIO IN S.MARIA C.V., AL CORSO ALDO MORO N.73

E’ABILITATO AL COORDINAMENTO DI SICUREZZA – D.LGS.494/96 – CON ATTESTATO DI CORSO RILASCIATO DALL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II, A CURA DEL CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RICERCHE L.U.P.T. DAL 24 NOVEMBRE 1997.

HA PARTECIPATO AL GRUPPO DI RICERCHE SUL TEMA “STABILITA’ DELLE TORRI IN MURATURA” ORGANIZZATO DALL’ISTITUTO DI “COSTRUZIONE DELLA FACOLTA’ DI ARCHITETTURA” – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI, FEDERICO II.

E’ COLLABORATORE DELLA III AREA DI RICERCA “PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E SISTEMI INFORMATIVI TERRITORIALI” L.U.P.T. – LABORATORIO DI URBANISTICA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DELL’UNIVERSITA’ FEDERICO II DI NAPOLI, FACOLTA’ DI ARCHITETTURA.

E’ MEMBRO DELL’AREA DI RICERCA “PROGETTAZIONE URBANA, AMBIENTALE E DEL RECUPERO E VALORIZZAZIONE DEI BENI STORICI, ARCHITETTONICI, ARCHEOLOGICI E PAESAGGISTICI” DEL CENTRO DI RICERCA L.U.P.T. DELL’UNIVERSITA’ FEDERICO II DI NAPOLI FACOLTA’ DI ARCHITETTURA – DIRETTORE PROF. FRANCO MARINIELLO.

HA SEMPRE AVUTO UN FORTE LEGAME CON LA POLITICA ATTIVA, ESSENDO FIGLIO DI NICOLA DI MURO, IL QUALE FIN DAL 1956 E’ ESPRESSIONE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA, PRIMA A LIVELLO COMUNALE I POI OLTRE AI CONFINI CITTADINI, FINO A DIVENTARE UOMO DI RIFERIMENTO DEL PARTITO AI PIU’ ALTI LIVELLI.

BIAGIO MARIA DI MURO FIN DALL’ADOLESCENZA HA POTUTO ASSORBIRE TUTTA L’ESPERIENZA POLITICA ED AMMINISTRATIVA, AVENDO AVUTO MODO DI FREQUENTARE ASSIDUAMENTE IL PARTITO.

PARTECIPA ALLA CONSULTAZIONE ELETTORALE AMMINISTRATIVA DEL 2002, CANDIDATO CON FORZA ITALIA, RIPORTANDO CIRCA 1000 VOTI DI PREFERENZE CONTRIBUENDO IN MODO DETERMINANTE DA FAR DIVENTARE FORZA ITALIA IL PRIMO PARTITO IN CITTA’.

DOPO NEL 2007 ASSUME LA CARICA DI VICE SINDACO, MA DOPO QUALCHE MESE NON ESITA A LASCIARE IL PRESTIGIOSO INCARICO QUANDO SI ACCORGE CHE CON LA DEFENESTRAZIONE DELL’ASSESSORE MARCIANO SCHETTINO VENIVANO TRADITI GLI IMPEGNI E LE PROMESSE SOTTOSCRITTE NEL PROGRAMMA ELETTORALE PRESENTATO AGLI ELETTORI.

DAL 2011 AL 2015 E’ STATO SINDACO DELLA CITTA’ DI S.MARIA CAPUA VETERE.

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euro 699.438,18

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PERDONA LORO......

Padre perdona loro! Perché li hai accecati? Perché hai tolto loro la memoria? Forse perché non credono più in Te? Padre perdonali! Tu sei un Dio buono: essi non sanno quello che fanno.... Non ricordano quando Tu mandasti loro la manna dal cielo e tutti sopravvissero e trovarono la terra promessa. Oggi li vuoi punire perché hanno troppo peccato? È per questo che la nuova manna tarda ad arrivare? Se sono ancora scettici e sono ancora cristiani se lo facessero spiegare dal loro parroco. Se poi sono degli assatanati, arrabbiati, solo perché credono di essere degli unti dal Signore, e solo perché sono stati abituati a credere di essere dei privilegiati, dimenticando i comandamenti che Dio diede a Mosè, allora fanno bene a pregare il vitello d'oro. E fanno bene a servire il vitello casalese sempre presente e che è stato causa del saccheggio sammaritamo e della chiusura delle industrie e la conseguente fine del lavoro, del commercio e delle possibilità di dare da bere agli assetati. Ma Tu Signore, nella Tua Infinita Bontà, Perdonali.....

NON CI SIAMO LIBERATI DI TUTTI MA RESTERANNO ALL'OPPOSIZIONE

NON CI SIAMO LIBERATI DI TUTTI MA RESTERANNO ALL'OPPOSIZIONE