Le zone bianche e l'obbligo di ripianificazione nel
P.R.G ( Piano Regolatore Generale ) - Fondi Vincolati
“Le zone bianche, l’obbligo di ripianificazione ed il risarcimento del danno”
Problematica sempre attuale per gli enti locali: la scadenza dei vincoli espropriativi con conseguente formazione di una zona priva di destinazione urbanistica, ossia zona c.d. bianca.
Se una zona diventa c.d. bianca, per decorso dei cinque anni dalla originaria imposizione del vincolo espropriativo senza che sia stata adottata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, l’ente territoriale competente deve provvedere rischiando, seriamente, la condanna al risarcimento del danno da ritardo.
Occorre fare un breve passo indietro.
Per espropriare un bene sul quale deve essere realizzata un’opera pubblica o di pubblica utilità occorre, dapprima, imporre il vincolo espropriativo, della durata di cinque anni; vincolo che può sorgere o direttamente dal piano regolatore generale o da una variante generale di piano o da una variante specifica.
Nei cinque anni dalla imposizione del vincolo, l’autorità espropriante deve, se vuole realizzare l’esproprio, dichiarare la pubblica utilità dell’opera con l’approvazione del progetto definivo dell’intervento in assenza della quale il vincolo decade e l’area diventa, appunto, priva di destinazione urbanistica, ovvero zona bianca.
Il problema non è da poco per le amministrazioni.
L’Ente che si trova dinanzi ad una zona bianca ha l’obbligo di ripianificare; se non provvede, da quando è decaduto il vincolo espropriativo scatta un inadempimento che lo obbliga al risarcimento del danno da inerzia o, semplicemente, da ritardo.
Situazioni di questo genere, in Italia, ce ne sono a iosa, ossia casi nei quali gli Enti preposti sono inadempienti all’obbligo di ripianificazione; dinanzi a tale inerzia le PA rischiano sicure condanne dei Giudici amministrativi per inadempimento o ritardo che vanno assolutamente scongiurate.
Tecnicamente per il privato proprietario di un’area diventata zona bianca è facilissimo: basta rivolgersi al TAR territorialmente competente con un ricorso avverso il silenzio della PA e chiedere la condanna dell’Ente alla ripianificazione con conseguente pagamento del danno per l’inerzia.
Dinanzi a richieste siffatte, i GA sono costretti ad intervenire (se del caso nominando un commissario ad acta) condannando la PA alla ripianificazione secondo le proprie volontà ed, al contempo, riconoscendo il danno da inerzia o da ritardo al ricorrente.
L’inadempimento dell’Ente richiede la combinazione tra l’art.2-bis della legge n.241/90 e le previsioni del Codice del processo amministrativo (segnatamente dell’art.31).
Si segnala una sentenza, perché a mio modesto avviso, emblematica, del TAR Abruzzo, L’Aquila, la n. 768 del 10 novembre 2012, che si focalizza proprio sul danno da ritardo della PA dinanzi ad una istanza di riqualificazione proposta da un privato su un’area divenuta zona bianca per scadenza dei cinque anni dalla imposizione del vincolo senza la necessaria dichiarazione di pubblica utilità.
Nel caso segnalato, il TAR decidente ha condannato il Comune interessato ad offrire al ricorrente, nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione e/o notifica della sentenza, una somma a titolo di risarcimento del danno da ritardo commisurata ai criteri individuati in motivazione.
In particolare ha puntualizzato che l’azione che aveva avviato il giudizio era collegata ai criteri introdotti nel 2009 con l’art. 2 bis della legge 241/90 (poi processualmente ridisciplinata dal CPA), e che attengono alla violazione dei termini del procedimento, ormai a prescindere dalla spettanza o dall’avvenuto riconoscimento del bene della vita; quanto alla concreta sussistenza di un danno ingiusto (e non già di una generica pretesa alla puntualità dell’azione amministrativa), il TAR L’Aquila ha precisato, richiamando un proprio precedente (sent. 548/11), che il bene della vita preteso dai ricorrenti è la definizione del procedimento di variante tesa alla individuazione di destinazione urbanistica e dunque di positiva utilizzabilità della proprietà, che è presupposto della sua concreta utilizzazione: la conseguenza di tale situazione è che “ogni ritardo nella emanazione di atti necessari nel corso della procedura costituisce danno in quanto osta alla effettiva disponibilità del bene”.
Sull’entità del ritardo, il dies a quo per il Comune, secondo il TAR, va calcolato dal giorno successivo a quello in cui è scaduto il termine annuale a disposizione per provvedere sull’istanza di riclassificazione.
Circa la quantificazione del ristoro economico, riconosciuta la diligenza probatoria esperita dal ricorrente premunitosi anche di una documentata perizia di parte sulla stima del terreno, pur in presenza di danno irriducibile ad una esatta quantificazione matematica il TAR ha rinviato ad un accordo tra le parti, non escludendo la possibile individuazione di parametri certi, con ricorso alla procedura prevista dall’art. 34 comma 4 del CPA, che prevede come, in assenza del raggiungimento di un accordo sul quantum, ovvero se non si rispetta quanto previsto in un raggiunto accordo, è ben possibile richiedere al TAR la determinazione della somma dovuta o la condanna all’adempimento degli obblighi ineseguiti.
Nel caso specifico l’organo decidente prevede che la somma che il Comune dovrà offrire al ricorrente potrà essere commisurata ai benefici che il ricorrente stesso avrebbe conseguito durante i mesi di inerzia amministrativa qualificata, perpetrata dal Comune intimato dopo la scadenza del termine annuale per provvedere, con specifico riguardo ai mancati introiti derivanti, per quel periodo, dallo sfruttamento dei terreni con la destinazione edificatoria prevista nella stessa zona dal PRG, introiti calcolati sulla base delle rendite normali di suoli consimili come risultanti da dati pubblici ed ufficiali in ambito provinciale.
Il TAR è andato oltre, stabilendo che la somma come sopra determinata dovrà essere ridotta in via equitativa del 20%, in ragione dell’incertezza sui contenuti finali delle determinazioni regolatorie ancora in itinere; dovrà essere, invece, aumentata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali da calcolarsi fino alla data di deposito della sentenza e, successivamente, dei soli interessi legali fino al soddisfo.
Nel caso trattato, l’organo decidente ha dettato dei parametri per la quantificazione del danno che, volendo, avrebbero potuti essere sostituiti anche da una somma di denaro fissa.
In altro precedente, infatti, sempre il TAR Abruzzo, ma questa volta sezione Pescara, sentenza n.406 del 12 ottobre 2012, dinanzi all’inerzia a provvedere di un Comune su una istanza di ripianificazione di una zona bianca, nel condannare la PA alla ripianificazione ha quantificato in € 100,00 al mese, a far data dalla scadenza del termine dell’inadempimento e fino alla approvazione della nuova destinazione di zona, il danno da inadempimento da riconoscere al ricorrente.
Il caso da ultimo segnalato merita una riflessione, soprattutto nel punto in cui condanna al pagamento di una somma di denaro fino alla definitiva approvazione e non alla semplice adozione di una nuova destinazione di piano sull’area.
Le conseguenze economiche, per gli enti coinvolti da un inadempimento su una istanza di ripianificazione possono essere devastanti sia che si possa arrivare ad una condanna generica all’accordo sul quantum (come nel primo dei due casi segnalati), sia che si subisca una condanna ad una somma fissa di denaro (come nel secondo dei casi).
Meglio, allora, provvedere per tempo dinanzi a vincoli espropriativi scaduti ed evitare certe condanne all’ adempimento ed altrettante certe condanne al risarcimento del danno da ritardo.
Santa Maria Capua Vetere, lì 11 Maggio 2018
Portavoce La Freccia nel Fianco
Ferdinando Fusco

Nessun commento:
Posta un commento