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mercoledì 30 gennaio 2013

CURIOSANDO NEL BOLLETTINO COMUNALE D'INFORMAZIONE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE

Negli anni '80 l' Avvocato Angelo Raucci, attuale presidente della Camera Penale e principe del Foro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, così scriveva sul bollettino comunale d'informazione del comune di Santa Maria Capua Vetere a proposito di:

L’opinione
Il superamento della assoluzione
con formula dubitativa
                                                                                                                       

Nelle discussioni relative: alla riforma del processo penale uno
dei problemi specifici più dibattuti è stato quello che concerneva il mantenimento o l'abolizione della formula assolutoria per insufficien­za di prove: cioé se eliminare dal nostro ordinamento giudiziario la possibilità di un proscioglimento per insufficienza di prove, formula prevista dall'art.479 'camma 3° dcl vecchio codice di procedura penale, ­e ricondurre la relativa situazione nell'ambito della assoluzione con formula piena. L'eliminazione vi è stata, ed infatti l'art. 530 comma 2° del nuovo codice di proce­dura penale recita” il giudice pro­nuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova...” ­Così di fronte alle difficoltà delle indagini giudiziarie, la soluzione oggi esiste solo nel dilemma innocente o colpevole.
Il Giudice pronunciava la sentenza di assoluzione per insuffi­cienza dì prove quando dalle indagini derivano una serie di elementi dì responsabilità oppu­re la sussistenza di elementi probatori di accusa e di elementi favore­voli all'imputato, i quali ultimi intaccando la compattezza dei primi, determinavano una situazione di perplessità e di dubbio.
Certo l'assoluzione per insufficienza di prove non è un risultato appagante. Naturalmente, per una attività dello Stato preordinata alla ricerca del vero, qual’è l'attività giudiziaria, un giudizio di dubbio assume di regola un amaro sapore, inteso come sensazione di incapa­cità dello Stato a realizzare lo sco­po prefisso. Qualcuno vi ravvisava persino una specie di compromes­so, caratterizzato dalla mancanza di coraggio per le soluzioni estre­me, cioè condanna e proscioglimento pieno. In realtà non trattasi nè di una via di mezzo, nè di uno strumento per timorosi, bensì di una pronuncio che, muovendosi nella consapevolezza dei limiti, spesso insuperabili, che le indagini probatorie incontrano nell’accerta­mento dei fatti, denota l’impossibilità per il giudice di cogliere l'effettiva consistenza dei fatti oggetto di un determinato processo penale.
Di fronte all'oggettiva difficoltà di costruire il reale accadimento storico nell'affannosa ricerca della ve­rità,  il dubbio è uno dei leciti atteggiamenti dell'uomo, e quindi atteggiamento lecito anche del giu­dice.
Osservano i fautori della Formu­la dubitativa che la sua soppressione può manifestare una certa tendenza a condannare nei casi di non rile­vante prevalenza delle prove positive, casi dei quali, nella vigenza del Codice Rocco e si disfaceva con il verdetto di dubbio. Cosa questa che può portare alla condanna di un innocente. Il problema è certamente di ordine psicologico, ma anche i riflessi psicologici e le reazioni emotive sono importanti nel mondo giudiziario.
I problemi della giustizia sono soprattutto problemi di stretta legalità, i quali non vanno affrontati
con la pretesa di fare giustizia ad ogni costo e di trarre sempre le
estreme conseguenze. Ciò è quanto mai pericoloso. La giustizia di un Paese civile deve saper riconoscere gli ostacoli che ne limitano il cam­mino. D’altronde il dubbio, forma si un ostacolo, ma costituisce prin­cipalmente il presupposto per il superamento di veri e propri errori giudiziari, quale sarebbe la condanna di un innocente, fatto inconfutabilmente più grave della formulazione. di un dubbio che porta all'assoluzione di un possibile col­pevole.
Ma oramai, il convincimento che il mantenimento della formula dubitativa costituiva non un momento di inciviltà, ma un punto di equilibrio, di saggezza e di cautela, urta contro la realtà del nuovo co­dice di rito.
Dovrà essere,  allora, la professio­nalità e la competenza tecnica del giudice ad evitare che l'inter­vento prorero del legislatore costituisca di fatto un danno per l’imputato e, soprattutto, un motivo di rimpianto per la vecchia formula di assoluzione per insufficienza di prove.
                                                                                                                                                                                         Angelo Raucci

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