Referendum abrogativo sul divorzio, vincono i no
domenica 12 maggio 1974 (44 anni fa)
«L'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito» è l'imperativo del credo cattolico che per secoli ha inibito qualsiasi tentativo di mettere in discussione il vincolo indissolubile del matrimonio. La prima iniziativa legislativa è di Napoleone Bonaparte che, con il Codice del 1804, introduce in Italia la possibilità di sciogliere i matrimoni civili, vincolandola però al consenso di genitori e nonni.
A parte qualche velleitaria iniziativa ad inizio Novecento, la materia torna prepotentemente alla ribalta nella seconda metà degli anni Sessanta, grazie a un ampio movimento d'opinione nella società cui corrisponde un clima politico favorevole in Parlamento. È il deputato socialista Loris Fortuna a presentare per primo un progetto di Legge per il divorzio, integrato successivamente con il testo del liberale Antonio Baslini. Per sensibilizzare la gente, il Partito Radicale e la Lega italiana per l'istituzione del divorzio scendono in piazza.
La convergenza tra Comunisti, Liberali, Radicali e Socialisti porta a un risultato epocale: il 1° dicembre 1970 viene approvata la legge n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, ribattezzata "legge Fortuna-Baslini". Con buona pace della Democrazia Cristiana, il divorzio entra nell'ordinamento italiano. Il provvedimento riconosce la cessazione degli effetti civili del matrimonio, prevedendo il passo iniziale della separazione legale, periodo in cui i coniugi dimostrano di non coabitare.
Il mondo cattolico non ci sta e corre ai ripari, facendo partire la raccolta firme per presentare una richiesta di referendum abrogativo. Nel giugno del 1971 i comitati antidivorzisti depositano più di un milione di firme presso l'Ufficio centrale della Corte di Cassazione, che il 6 dicembre ne conferma la validità. Inizialmente fissato per l'11 giugno 1972, il voto slitta al 12 maggio del 1974 per via dello scioglimento anticipato delle Camere, deciso dal Presidente della Repubblica, Giovanni Leone.
I sostenitori del "sì" trovano nel segretario politico della DC, Amintore Fanfani, un acceso portavoce e protagonista di una campagna aggressiva che non lascia spazio al dialogo con la parte avversa. I toni usati dal segretario spiazzano i suoi stessi compagni di partito, convinti che questa strategia possa intaccare l'ampio consenso dello "scudocrociato". Di contro le alte gerarchie vaticane fanno sentire il proprio peso, chiedendo il massimo impegno per la vittoria del sì. L'altro partito che sostiene il "sì" è il Movimento Sociale Italiano.
L'area del "no" ne raccoglie sei: PCI, PSI, Liberali, Radicali, Repubblicani e il Partito Socialista Democratico Italiano.
La partecipazione al voto è da record: in 33.023.179 si recano alle urne, circa l'87,7% degli aventi diritto. Una soglia che non sarà mai eguagliata nelle consultazioni referendarie successive. Il 40,7% (13.157.558) si pronuncia per l'abrogazione, il 59,3% (19.138.300) vota "no".
La legge sul divorzio è salva e per il fronte cattolico si materializza una sconfitta senza precedenti, non priva di ripercussioni politiche nella DC. La leadership di Fanfani viene messa in discussione fino alla definitiva debacle delle elezioni regionali del 1975, dove la DC fa registrare il suo minimo storico e con il PCI alle costole, distanziato di poco più di 500mila preferenze. Sul versante opposto si grida alla vittoria della modernità e della civiltà contro il blocco della conservazione.
A dispetto delle previsioni catastrofiche degli abrogazionisti, il divorzio per quasi un ventennio non produce significativi cambiamenti nel tessuto sociale, mentre dal 1995 s'inizia a registrare la prima impennata di separazioni che nel nuovo millennio cresce di pari passo con il diminuire dei matrimoni. I più recenti dati Istat, riferiti al 2012, parlano di 88.288 separazioni e 51.319 divorzi, con un trend in calo dello -4,6% rispetto all'anno precedente (-0,6% invece per le separazioni).
Per dimezzare i tempi delle cause di divorzio, nel 2012 viene presentato un DDL sul cosiddetto "divorzio breve" che, dopo il via libera in Commissione Giustizia, rimane lettera morta in Parlamento. Una nuova proposta viene presentata alla Camera nei primi mesi del 2014 e convertita in legge ad aprile del 2015.
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