Dal Vangelo secondo Luca 5,12-16.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in una città,
ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo:
«Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio,
sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. Gli ordinò di
non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per
la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro».
Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose
venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si
ritirava in luoghi deserti a pregare.
Il commento
Le “parole” su di Lui e le “folle numerose” in cerca di
guarigione e consolazione, spingono Gesù a «ritirarsi in luoghi deserti a
pregare», obbedendo alla volontà di Dio; non cerca fama e successo, come i
mercenari e i falsi profeti: è il Buon Pastore che lascia le novantanove pecore
per gettarsi alla ricerca di quella perduta, malata e ferita, perché Egli cerca l’uomo e non le folle. Per questo Gesù va a rifugiarsi nel luogo dal quale il
lebbroso desiderava essere liberato, il deserto di angoscia e morte dove la
sua impurità lo aveva relegato, la solitudine che annuncia il Getsemani, il
Golgota e il sepolcro. Egli percorre il cammino inverso di quello dell’uomo che
aveva appena guarito, primizia dei lebbrosi di ogni generazione. Gesù scende
nell’abisso della sofferenza, della solitudine e della morte di ogni uomo per deporvi la sua preghiera: “nei
giorni della sua vita terrena Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida
e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà;
pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di
salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb. 5, 5-9). Benedetto
XVI commenta così questo brano: “Offrì…
è
una traduzione giusta del verbo prospherein, parola cultuale che esprime l’atto dell’offerta
dei doni umani a Dio… del sacrificio. Così, con questo termine cultuale
applicato alle preghiere e lacrime di Cristo, dimostra che le lacrime di
Cristo, l’angoscia del Monte degli Ulivi, il grido della Croce, tutta la sua
sofferenza non sono una cosa accanto alla sua grande missione… Proprio con questo
“offrì”, prospherein, Gesù porta l’umanità a Dio, così si fa sacerdote…”. Quel Rabbì di Nazaret era dunque il Sacerdote dal quale il lebbroso aveva
sognato di andare un giorno a presentare la sua carne guarita come prescriveva
la Legge. Il Sommo Sacerdote di cui aveva bisogno, Santo, perfetto e separato
dagli uomini, ora era lì, accanto a lui; non si trovava nel Tempio ad aspettare
per certificare, ma gli era accanto, dentro alla sua solitudine, per presentare se stesso e lui al Padre come
offerta per i peccati. Gesù era il Sommo Sacerdote che sapeva compatire le sue
infermità, perché sarebbe stato lui stesso, di lì a poco, provato in ogni cosa,
piagato dalla sua stessa lebbra. Quel lebbroso si poteva dunque accostare con
piena fiducia la trono della Grazia, per ricevere misericordia e trovare Grazia
ed essere aiutato proprio in quel
momento opportuno (cfr. Eb. 4, 15-16) per essere trasformato e divinizzato.
Gesù realizza
la sua missione dando compimento a quanto “Mosè ha prescritto”: la Purezza si fa carne nella carne malata, la vita fiorisce nel deserto,
nella morte esplode la Vita. La preghiera solitaria
di Gesù dà voce al grido di ciascun uomo
prigioniero della lebbra e forma così la
comunità dei santi, la Chiesa purificata dal suo sangue, sacramento di
salvezza per le Nazioni: “La
preghiera di Gesù è stata esaudita, nel senso che realmente la sua morte
diventa vita, il luogo da dove redime l’uomo, da dove attira l’uomo a sé”
(Benedetto XVI).
La Chiesa allora è proprio il luogo dove si
registrano i miracoli di Dio, l’assemblea
dove, davanti ai sacerdoti, “rendere testimonianza” alla misericordia di Dio
che continua a visitare il suo popolo. La riammissione del lebbroso segregato,
dopo la constatazione della scomparsa delle pustole, veniva suggellata da un
sacrificio come per l’espiazione di un peccato. Per questo, culmine e fonte
della liturgia, è l’eucarestia, il rendimento di grazie per i miracoli operati
nei cristiani dall’Unico Sommo Sacerdote, per il perdono che ha purificato le
pustole dell’orgoglio, dei giudizi, della concupiscenza e di ogni peccato. Nella
Chiesa risuona la preghiera del lebbroso: “Signore, Kyrios, se vuoi puoi guarirmi. Se è la tua volontà puoi purificarmi”. E
Gesù non può che rispondere “Certo che è la mia, lo voglio, sii purificato!”. Ma
è questa la nostra preghiera? Oppure è un subdolo “se puoi”, il capriccio di
chi si arrampica sino al Cielo per esigere che Dio faccia la sua volontà? La preghiera autentica è già una professione
di fede: “abbi pietà di me peccatore”, se
la tua volontà è la mia santificazione, allora certo puoi guarirmi da quanto mi
impedisce d’essere e vivere obbedendo ad essa. Non si tratta del se di chi dubita orgogliosamente, ma di
un se che esprime l’umiltà di chi non
ha nulla da pretendere ed esigere perché indegno di tutto. E’ il se che contiene la certezza della
volontà misericordiosa di Dio, e professa la fede della creatura ferita dal
peccato che riconosce di non appartenersi, che bussa alla porta del suo
Creatore perché lo accolga di nuovo nella sua comunione. E’ un “se” che si apre
al “si” di Dio. Il lebbroso è malato, ma il fondo del suo cuore è puro, perché vi
alberga la consapevolezza di essere comunque immagine e somiglianza del Puro e
Santo. Il se sgorga proprio dall’estremo
baluardo, l’enclave divina che ha
resistito all’assedio del demonio che ha conquistato tutto il resto, il
frammento d’anima inattaccabile perché è dove Dio ha deposto il suo seme di
vita eterna, incorruttibile. Per questo, anche dopo un miliardo di peccati, la
stessa libertà che ha deciso di occultare e dimenticare Dio e vivere come se non
esistesse, può voltarsi, convertirsi,
e pronunciare il se che riapre i
giochi, che dà il via libera alla controffensiva di Dio, che, “immediatamente”,
ha ragione del nemico, il demonio che ha ucciso carne e mente, ma non ha potuto
nulla contro l’anima. Tutto il male, tutti i peccati accumulati sino ad oggi sono
nulla in confronto a quell’impercettibile seme di vita eterna che alberga in ogni
uomo e che attende solo d’essere innescato. Tutto quello che durante una vita
di tentazioni e cadute, trappole astute e subdoli inganni, è stato ferito, e
raso al suolo, può essere risuscitato, trasfigurato e portato a compimento in un istante, perché Dio è onnipotente
di fronte al più grande peccato, alla vita più corrotta. Per questo Gesù viene
alla nostra città, scendendo nel nostro deserto. In qualunque situazione, nelle
relazioni familiari complicate e senza sbocco, quando bruciano le tentazioni
tra due fidanzati, e magari si è caduti e il mondo sembra franare addosso tra
giudizi e disprezzo di se stessi, Gesù si fa vicino a ciascuno suscitando quel “se
vuoi puoi guarirmi”, la preghiera umile che
tocca il suo cuore perché Egli “stenda la mano” e ci tocchi con la sua Grazia, attraverso i sacramenti donati alla sua
Chiesa.
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