
In un altro contesto, le dimissioni di un sindaco rappresenterebbero un fatto di gravità assoluta di fronte al quale bisognerebbe interrogarsi con animo sereno e scevro di polemiche. Ma chi come il sottoscritto ha seguito -da oltre tre anni- le incredibili vicende della politica amministrativa sammaritana non si illude più di tanto: le dimissioni di Giancarlo Giudicianni dalla carica di Primo Cittadino fanno parte, a pieno titolo, di quella politica locale barzellettiera di cui il commercialista con la fascia tricolore è la massima espressione. Di quella politica, insomma, fatta di ribaltoni, di voltaggabanismi continui e reiterati, di acquisto e cessione di consiglieri comunali, di 23 assessori che si sono succeduti nella stanza dei bottoni di Palazzo Lucarelli (tanto da rappresentare un record mondiale difficilmente uguagliabile), di gente sprovveduta assolutamente inadeguata a guidare l’antica Capua nel momento più delicato della sua storia dal dopoguerra ai giorni nostri.
Naturalmente, i tre anni e rotti di Giudicianni &company non sono stati solo settimane e mesi da immortalare in qualche puntata speciale di Paperissima. Anzi, sono stati, questi, anni di dismissione completa del territorio sammaritano che, allo stesso tempo, ha perduto la sua memoria storica e ogni prospettiva futura da donare alle generazioni che verranno. Sono stati, infatti, gli anni delle grandissime speculazioni urbanistiche (in primis l’ex Tabacchificio, a cui si devono aggiungere gli altrettanto eclatanti casi dell’ex Mulino Parisi, dell’ex Politeama etc.. etc..); gli anni dei soldi elargiti con incredibile magnanimità a consulenti vari e a qualche amico degli amici; gli anni dei gettoni consiliari e delle commissioni consiliari che, in diversi casi, superano mensilmente lo stipendio dei cassaintegrati di Pomigliano. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Ma il vero problema di questi tre anni è che…non sono mica finiti. Anzi, le dimissioni di Giudicianni si inseriscono, a pieno titolo, nella continuità della sua linea amministrativa al limite della schizofrenia politica. Ora, infatti, il sindaco non riesce più ma far quadrare i conti dopo aver eliminato i partiti politici e aver scientemente fatto fuori dal Consiglio Comunale (ex consiglieri nominati assessori e poco dopo defenestrati) l’anima critica di una Amministrazione Comunale che era sorta con ben altri intenti e ben altre motivazioni. E al loro posto sono subentrati in Consiglio Comunale alcuni di quegli indegni che- per nemesi divina- oggi si sono trasformati nelle spine nel fianco del Primo cittadino dopo, però, averlo assecondato in una miriade di follie politiche che sono anche difficili da elencare. Quegli indegni che, tanto per fare un esempio, in cambio del loro sostegno consiliare gli hanno chiesto le deleghe ai Servizi Sociali, al Puc, all’Urbanistica e chi più ne ha più ne metta.
Da qui, dunque, l’esigenza di un Giudicianni terrorizzato dal’idea di essersi stavolta incartato, di fingere di gettare la spugna per poter continuare le trattative ancora in corso-sottobanco- sia con il centrosinistra sia con il centrodestra- con la speranza che il partito degli affari e dei tornaconti personali non gli tiri qualche brutto scherzetto. Ma non dovrebbero esserci problema: anche loro, proprio come il sindaco, non hanno nessunissima voglia di tornare alle loro private abitazioni. Purtroppo.
Mario Tudisco
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