Proponiamo un articolo scritto da Gianluigi Guarino su Casertace e replicato il 3 febbraio 2009, in occasione di una ennesima visitina delle forze dell'Ordine all'UTC che chiesero la documentazione riguardante la "famigerata" Società di Trasformazione Urbana sammaritana . E' particolarmente interessante e farà capire a chi ancora non lo avesse compreso cosa lega Giudicianni , Castaldo , Campochiaro ,Iodice ........................................................
Carabinieri in Comune per la Stu, questo Casertace scrisse in agosto (LA PRIMA PUNTATA DELL'INCHIESTA):
Carabinieri in Comune per prendere visione e acqusire copia degli atti amministrativi riguardanti i rapporti tra il Comune di Santa Maria Capua Vetere e la Società di Trasformazione Urbana, creatura che per anni ha unito intenti, atti e ambizioni dell'ex sindaco Enzo Iodice, del suo mentore tecnico Maurizio Mazzotti e dei due padroni del vapore di oggi: il sindaco Giudicianni e il suo vice Castaldo. Un filo rosso tutt'altro che sottile che unisce le vite e funzioni di chi ha gestito i destini della città negli ultimi dodici anni, riducendo, in pratica, queste esperienze a fattor comune. In occasione di questo sviluppo di indagine, www.casertace.it ripropone le due puntate della sua inchiesta sulla Stu di Santa Maria, pubblicate ad agosto scorso.
g.g.
LA PRIMA PUNTATA DELL'INCHIESTA
E meno male che l’acronimo è Stu e non Sti.
Perché l’esclamazione attinta dal tardo-romanesco coatto (‘Stì….!!!) sarebbe venuta fuori quasi d’emblée, tentando irresistibilmente chi scrive, davanti a questa storia che ha prodotto mezzo quintale di carte tra documenti, delibere, atti costitutivi, statuti, un bel malloppo di gratifiche dirette e indirette per gli uomini e le donne presenti nei Cda e zero risultati ad appannaggio della collettività, dei cittadini di Santa Maria Capua Vetere. Invece, ci dobbiamo accontentare del fonema Stu, il quale meno si adatta al licenzioso gioco di parole, ma che, calato nella realtà di Santa Maria Capua Vetere, cioè in quella autentica franchigia della politica invisibile e dei dissennati sprechi che da questa derivano, diventa l’ennesima dimostrazione, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, di quale considerazione la “para…politica” cittadina e i sedicenti amministratori gemmati dalla medesima hanno della res publica, abbacinati come sono dalla sostenibilissima leggerezza dell’essere qualcuno o alcuni al comando di qualcosa nel momento topico, che dalle parti di palazzo Lucarelli è stato sempre quello in cui c’era da programmare una lottizzazione, una colata di cemento o, in maniera ancor più confortevole, in cui c’era da realizzare un investimento che si andava a risolvere in una bella sfilza di incarichi e di consulenze e sul nulla realizzato.
LA TRASFORMAZIONE URBANA? UNO SCAVO SEMI ABBANDONATO
Ma torniamo al buffo acronimo e proviamo ad andare per gradi: a Santa Maria Capua Vetere non sono mai mancati i politici e soprattutto i tecnocrati dotati della capacità di fiutare da mille miglia le operazioni buone per muovere un bel po’ di quattrini. E così, quando nel 1997, il professore Bassanini, che pensava, evidentemente di vivere nel paese dei balocchi e non in Italia, decise che ai sindaci e alle Amministrazioni comunali andassero forniti strumenti più flessibili e, soprattutto, più veloci per cambiare la faccia e soprattutto, per cambiare le prospettive di sviluppo delle proprie città, qualcuno, dal pensiero lesto, fiutò subito l’affare. La norma istitutiva delle Stu, che, allo spirare del ventesimo rigo di questo articolo, andiamo finalmente a disvelare nella sua pomposa e velleitaria definizione, è datata 1997 ed era contenuta nella famosa legge del ministro Bassanini, primo governo Prodi, precisamente la numero 127, la quale riconosceva ai Comuni la possibilità di costituire delle società di capitale denominate, appunto, Società di Trasformazione Urbana, finalizzate a “progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti”. Queste società venivano promosse, appunto, dai Comuni. Potevano parteciparvi anche Province, Regioni e soci privati, senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria. Per non allungarvi la barba, sintetizziamo: a differenza degli strumenti in vigore fino ad allora (le società miste), che rispondevano alla pratica e semplice esigenza di realizzare un dato progetto, le STU nacquero con lo scopo specifico di trasformare una realtà esistente: bonificare un sito inquinato, riconvertire aree in cui siano presenti insediamenti produttivi in disuso, creare nuove opportunità occupazionali ed economiche in sostituzione delle attività cessate, migliorare la vivibilità e la viabilità di zone gravate da grandi infrastrutture. Si trattava e si tratta ancora, in altri termini, di risolvere un problema complesso, di dare una nuova identità a un territorio. E infine, ultimo obiettivo da citare della Bassanini, dato che casca a fagiolo nel caso di Santa Maria Capua Vetere, di eliminare il degrado urbanistico e sociale derivante da uno stato di abbandono. Ora, nella Santa Maria dei paradossi kafkiani potrà pure succedere tra qualche anno che si costituisca un’altra Stu con l’obiettivo di eliminare il degrado urbanistico provocato dalla prima Stu. Una battuta? Bene, allora guardatevi le foto, che pubblichiamo a margine di questo articolo. Vi accorgerete che in dieci anni, ripetiamo, in dieci anni, che sono ben 120 mesi, la Stu di Santa Maria Capua Vetere ha prodotto solamente la miseria o - ci si conceda - lo schifìo di uno scavo nella zona di via Danimarca, dove, secondo il progetto, dovrebbe nascere, indovinate cosa? …..Ma naturalmente un centro commerciale, idea di grande pregio socio – culturale e, soprattutto, originalissima da queste parti, dove l’imprenditore Enzo Natale si sveglia uno giorno sì e l’altro pure con l’idea fissa di costruire un mega discount di qua e un parco dei consumi e dell’intrattenimento di là, come se i sammaritani fossero stati colpiti da improvviso benessere e potessero consentirsi il lusso gaudente e pelandrone di trascorrere tre quarti della loro esistenza saltimbeccando tra una vetrina e l’altra, ovviamente non facendosi mai mancare una puntatina al Bingo, cioè “al gioiello di famiglia”, che aprirebbe un separé in ogni centro commerciale.
Ma l’avessero almeno fatto ‘sto centro commerciale, qualcuno avrebbe potuto dire: meglio questo che niente. E invece, béccati il niente, caro sammaritano che continui a fare lo smemorato, il leggero e l’allegrone quando entri nella cabina elettorale! In dieci anni è stato scavato un buco, cosa che se l’appurano Stella e Rizzo ci dedicano almeno un paio di capitoli della loro saga letteraria, del loro lavacro dell’autosputtanamento nazionale sulla vergognosa dissipazione delle pubbliche risorse.
Se è vero che il terreno di via Danimarca è di proprietà comunale, è anche vero che una stima giurata, datata 9 settembre 2002 e firmata dall’architetto Rosaria Rita Truglio, ha stabilito, dopo che la professionista incontrò più di un problema nell’ufficio tecnico del Comune per venire a capo di documenti e planimetrie, che quel terreno vale esattamente 2 milioni 480mila euro, che in pratica sono il risultato, come è scritto nella relazione del perito che abbiamo avuto la possibilità di leggere con attenzione, al pari di molti altri documenti, della moltiplicazione tra la superficie complessiva di 13mila 178 metri quadri e i 188 euro, costituenti il valore per ognuno di questi metri quadri. Questi 2 milioni e mezzo di euro, spicciolo più, spicciolo meno, rappresentano il conferimento da parte della città di Santa Maria Capua Vetere, socio di maggioranza al 51 per cento. E l’altro 49 per cento? Tenetevi forte, sta per arrivare il bello della storia, che ora possiamo popolare dei suoi attori protagonisti, dei comprimari, di nani, ballerine e mezze calzette.
IN PRINCIPIO FU….CAMPOCHIARO
Abbandonando subito la licenziosa tentazione di operare citazioni dell’Antico Testamento, la modesta bibliografia della vicenda Stu ci conduce a una delibera di Consiglio comunale del 5 novembre 1998. Tutti presenti gli assessori attorno al sindaco Enzo Iodice. Da Silvio Miele a Massimilano Rendina, da Enrico Monaco a Maria Luisa Chirico, da Silvio Lugnano a Giuseppe Munno. Nasce, in pratica, la Stu. O meglio, passa la proposta di costituzione di una Stu. Santa Maria è uno dei primi Comuni in Italia a subdorare che l’operazione può essere conveniente. Non a caso, a un anno dall’entrata in vigore della legge 127, da queste parti si approvano già le delibere. Si è sempre pensato e si pensa ancora che il padre, l’artefice dell’intera operazione sia stato l’immancabile “ingegnere”, che nell’antonomasia locale, è uno e uno solo: Maurizio Mazzotti, per anni capo dell’area tecnica del Comune, oggi svernato a Caserta, vero deus ex machina di tutto quello che di concreto in termini di lavori pubblici e anche privati si è mosso durante gli anni del regno di Enzo Iodice. In effetti, la relazione da cui tutto nasce e che la giunta formalmente approva, reca proprio la firma di Mazzotti. Ma leggendo con attenzione il corpo dell’atto deliberativo, ti accorgi che in questa saga esistono padri materiali, ma anche padri spirituali. Dice il sindaco: …”Considerato che il consigliere comunale Giovanni Campochiaro, sensibile per mestiere (sic!), per cultura e per vocazione ai problemi del mondo produttivo meridionale, ha spronato, esercitando meritoria azione di stimolo, il Settore Tecnico Comunale, ad approfondire l’argomento delle Stu e ad elaborare una relazione – proposta da sottoporre agli organi politici dell’Ente, ipotizzando la possibilità di indirizzare detta società alla realizzazione e gestione, almeno in prima istanza, dei cosiddetti D-Pip, al fine di tentare di conferire un assetto organico al complesso sistema di realizzazione assistita di attività artigianali, commerciali ed industriali, stimolandone lo sviluppo e la crescita.” Prima sorpresa documentale e sotoriografica, dunque: non fu Mazzotti, magari stimolato dal suo amico di sempre Raucci, a indirizzare il Comune verso la costituzione della Stu, ma fu Campochiaro a chiudersi in una stanza con Mazzotti e a fargli capire che la Società di Trasformazione Urbana avrebbe dato uno slancio nuovo e possente all’economia produttiva della città.
TARTARONE, IL “MARADONA DEL MATTONE”, PIU’ FURBO DI CATONE
Tenete bene in mente questo nome e questo cognome: Domenico Tartarone, nato a Giugliano il 30 ottobre del 1955, residente a Villaricca. Cinque anni di differenza, ma il 30 ottobre sono il giorno e il mese in cui è nato Diego Armando Maradona, profeta del calcio di ogni tempo. Beh, nel suo piccolo, si può, dire che anche Domenico Tartarone ha maradoneggiato, districandosi con mille e ubriacanti dribbling nel dedalo complesso delle “sette chiese”, quelle che un imprenditore, quasi obbligatoriamente, era costretto a girare se voleva combinare qualcosa nella città del Foro. La serpentina più riuscita l’ha realizzata ai danni non di uno qualsiasi, ma di un vero mastino degli affari, quel Carlo Catone, il re dell’autotrasporto e della logistica, che certo non è uno che ha l’anello al naso. Catone ed Enzo Iodice, con gli ovvi, immancabili e irrinunciabili buoni uffici di Maurizio Mazzotti, erano riusciti a trovare l’intesa: la Stu si sarebbe imperniata sull’impegno diretto di Catone, che in quattro e quattr’otto mise in piedi un raggruppamento di imprese che, agli albori del terzo millennio, risposero al bando pubblico del Comune con una formale istanza nella quale si dichiaravano disponibili a sottoscrivere una quota variante dal 48 al 49 per cento del capitale della Stu. Il raggruppamento era capeggiato dalla società Centro Commerciale Tre C, amministrata da Castrese Catone, figlio di Carlo, dalla Ideal Costruzione Srl, rappresentata da Baldassarre Topo, anche lui di Villaricca, dalla Immobiliare Caor, una società direttamente amministrata da Carlo Catone e, dulcis in fundo, da due imprese di Domenico Tartarone: la Davide srl – studi di architettura, con sede ad Aprilia in provincia di Latina e dalla Borgo Montepugliano Sas di Domenico Tartarone & C. con sede a Napoli, attiva, a quanto pare, nella gestione di attività turistico – alberghiere. Detto, fatto, come scriverebbe una mia valorosa collega. In alto i calici, la Stu è decollata seppur tra mille imbarazzi politici, dato che il matrimonio tra il sindaco Iodice e Catone finiva, giocoforza, per coinvolgere anche il consigliere regionale di Forza Italia Paolo Romano, che di Carlo Catone era ed è il genero e di Castrese Catone era ed è il cognato. Ma tant’è: quelli erano i tempi – altro che Veltrusconi - di un dialogo, e che dialogo!, ante litteram tra centrodestra e centrosinistra, con Nicola Cosentino che a Santa Maria chiudeva l’affare del decennio affittando al tribunale gli appartamenti di famiglia in via Santagata, dove ancora oggi sono accampate (e l'uso di questo participio non è metaforico, vedere per credere), le stanze delle sezioni civile e lavoro. Ma siccome non tutte le ciambelle riescono col buco, quella della premiata ditta Iodice – Catone, a differenza di quella Iodice – Cosentino, si bruciò in forno. Anche perché quella lenza del sindaco si accorse che in quel raggruppamento di imprese c’era un talento nascosto ancor inespresso in queste zone: quello di Domenico Tartarone, appunto. Tra i due scoccò la scintilla. Le ménage a deux spesso si trasformava in un ménage a trois. “Il triangolo sì”: Iodice e Mazzotti l’avevano considerato eccome. Ed ecco che Domenico Tartarone da Villaricca diventa un protagonista dello sviluppo cittadino. Oddio, le sue potenzialità si vedono, più che nella Stu, nella rapida opera di edificazione di quello che, ormai, è conosciuto in città come l’alveare: una sequenza impressionante di appartamenti messi uno affianco all’altro, uno sopra all’altro, nella zona di piazza Padre Pio. Qualcuno, agli albori di questa ambiziosissima operazione speculativa, osò obiettare che da quelle parti fossero affiorate delle vestigia della città che fu seconda solo a Roma (“Altera Roma”, la definì Cicerone, non un pincopalla qualsiasi). Fu zittito senza remissioni dalla Sovrintendenza ai Beni Archeologici, che proprio a Santa Maria ha una sorta di sezione staccata presieduta da una, a quanto pare, molto amica di Iodice e Mazzotti. “Roba di poco poco, solo paccottiglia”, sentenziò l'esperta. E vai Tartarone!!! L’alveare, quello sì che è un esempio di architettura post moderna, la quintessenza dell'anti loft: una persona incasellata ogni metro cubo. Un prodigio che neppure a Calcutta sono stati in grado di riprodurre.
RATE PIU’ COMODE DI QUELLE DI UN'AUTO
Per intanto, la progressione delle procedure costitutive della Stu seguiva un percorso direttamente proporzionale alla progressione in altezza di quella orrenda torre di Babele appostata ai fianchi del fraticello di Pietrelcina. Ma mentre il cemento materializzava questa schifezza in tutta la sua mastodontica invadenza, la Stu materializzava solo cataste di carte e riunioni sul sesso degli angeli. Tartarone era diventato il cocco di casa. Al punto che la convenzione la quale sancì e formalizzò i rapporti tra Amministrazione comunale e Stu, di cui la stessa Amministrazione deteneva e detiene il 51 % delle quote, si materializzò un prodigioso caso di disponibilità da parte di un ente pubblico nei confronti di un soggetto privato: i 2 milioni 450 mila euro e rotti che Tartarone dovrà scucire quale importo di sottoscrizione del suo 49% in relazione ai 2 milioni 480mila euro già messi dal Comune con il terreno valutato in questi termini dal perito del tribunale, saranno dilazionati in 99 anni di rate. E ogni rata annuale – sì, avete capito bene, annuale – sarà di 25mila euro, in pratica circa 2mila euro al mese. A Tartarone, dunque, entrare nei giochi che contano a Santa Maria, inserirsi in un contesto che gli ha consentito anche di realizzare a latere l’operazione stramiliardari dell’ alveare, costa, almeno per quello che è ufficiale e che si sa, la miseria di 2mila euro al mese. In pratica la rata di una buona auto, meno della rata di un mutuo per acquistare una casa di modeste dimensioni. Rizzo e Stella, per pietà, se ci siete, battete un colpo. Ed è così, dunque, che prese la luce, come ci indica il titolo I dello statuto, la Società di Trasformazione Urbana “Capua Antica Innova Spa, con durata fino al 31 dicembre 2.070, data che, visti i risultati, conseguiti fino ad ora, potrebbe segnare il definitivo approdo a un’utilizzazione stabile dello scavo di via Danimarca, che sarebbe l’ideale per accogliere l’atterraggio in verticale di navicelle intergalattiche, che per il 2070, considerati gli ultimi, clamorosi avvistamenti avvenuti in Inghilterra, potrebbero scegliere, come a suo tempo avvenne per le truppe di Annibale, proprio “Capua Vetere” per i loro ozi neo coloniali.
Capua Antica Innova. Più innovazione di così!!!
IL COMMERCIALISTA DELL'OPUS DEI E RAGIONIERE FERROVIERE
Non si sa e, probabilmente, non sapremo mai se l’attuale vicesindaco di Santa Maria Capua Vetere, Castaldo, a quale rango appartenga all’interno dell’Opus dei, la potentissima istituzione fondata da Josemaria Escrivà, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002, unica ad aver ottenuto il rango di prelatura personale, che, in parole povere, significa uno status di autonomia senza uguali nella chiesa cattolica, dato che i suoi adepti rispondono a un prelato e questi, a sua volta, risponde solo al papa e a nessun altro. Gli elenchi sono, infatti, gelosamente secretati nella sontuosa roccaforte romana di via Veneto. A occhio e croce Castaldo potrebbe essere un socio cooperatore, ma anche un non socio con lo speciale status di sostenitore o di simpatizzate, lo stesso ricoperto, ad esempio, dal presidente del Consiglio Berlusconi o da uno dei suoi predecessori, Massimo D’Alema. E non sappiamo neppure se i riferimenti di Castaldo stanno a Napoli, dove Opus dei fa rima con il medico Raffaele Calabrò, ex assessore regionale, ritornato in auge alle ultime elezioni e che potrebbe anche essere il candidato alla presidenza della Regione in quota Pdl, oppure a Roma. Fatto sta che Castaldo, nell’area dell'Opus Dei, è entrato e questo vuol dire che non è certo l’ultimo arrivato. Appartenere all’Opus Dei significa, in effetti, avere la possibilità di relazionarsi al mondo della grande finanza e della grande imprenditoria, tessendo relazioni con grandi banche e grandi potentati economici. E in questo ingranaggio non si entra facilmente. Bisogna avere quattrini o potere, altrimenti nisba. Ora, se è vero che Castaldo non è una primissima fila tra gli adepti di Escrivà, è vero pure che molto dello stile Opus dei si riconosce nelle azioni e nelle operazioni messe in atto dal commercialista, che, negli ultimi dieci anni, ha lavorato molto sotto traccia, dedicandosi a un suo particolarissimo apostolato: la ricerca di talenti nascosti da iscrivere, magari, se non direttamente all’Opus Dei, alla missione perseguita dalla prelatura e cioè la promozione di quello “spirito di mortificazione che - come si legge nel pensiero di Escrivà - deve ispirare la vita professionale di ogni giorno in funzione di una chiamata universale alla santità.” Ora, che Castaldo arrivi alla santità appare un progetto velleitario, ma sicuramente il commercialista è stato, di sicuro, apostolo quando ha scoperto dentro una divisa delle ferrovie dello Stato un talento da utilizzare per ben altra causa rispetto a quella di un grigio tran tran di obliteratore di biglietti. E così che è nato e si è sviluppato il rapporto tra Castaldo e Giancarlo Giudicianni, ragioniere e ferroviere, che, allo stesso modo di Cenerentola, pure lui ha trovato il suo principe azzurro che lo ha fatto entrare nell’empireo di quelli che contano. E tra quelli che contavano e contano ancora, a Santa Maria, c’era e c’è Giovanni Campochiaro, legato da tempo a Castaldo, che gli ha curato un bel po’ di cosette anche nella intricata questione della Campelli, la conceria di rione Sant’Andrea, attraversata da alterne vicissitudini, che, ancora oggi, non hanno avuto un epilogo chiarissimo e nella cui società, al tempo controllata dalla famiglia Campochiaro, Castaldo era titolare di un posto nel collegio dei sindaci. Anche Campochiaro si accorse che Giudicianni era uno sveglio e, dato che c’era da nominare il presidente della Stu, pensò, ovviamente dopo essersi consultato con Castaldo, che fosse proprio Giudicianni l’uomo giusto. E così avvenne. In questi anni Giudicianni ha guidato la società, che, invece di produrre opere, è diventata una sorta di vivaio, di allevamento per politici, professionisti e imprenditori in carriera: Giudicianni è, infatti, diventato sindaco, ancora una volta su indicazione di Campochiaro; Castaldo, il quale ricorda bene che a Santa Maria hanno contato sempre i vicesindaci e non i sindaci, si è appollaiato sulla poltrona di vicario, Tartatone ha realizzato un dei più imponenti business degli ultimi vent’anni con la costruzione dell’alveare di piazza Padre Pio.
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