Sveglia, sammaritano da anni dormiente! Si trattava solo di un sogno. Il sol dell’avvenire, il saluto al terzo millennio era rappresentato nientepopodimeno che?.....Ma naturalmente e molto più prosaicamente da un centro commerciale, che da queste parti rappresenta, evidentemente, nelle menti dei padroni del vapore, il massimo assoluto in quanto a modernità, a crescita economica, civile e sociale e, soprattutto, in quanto a innovazione.
Ecco, dunque, come quel 7 dicembre di fine millennio ci racconta del parto di una delibera, che, guarda un po’, ebbe come padre putativo, ma non certo naturale, Giancarlo Giudicianni, oggi sindaco della città, allora assessore alle Attività produttive. Postazione, quest’ultima, che avrebbe lasciato di lì a poco per diventare, neanche a dirlo, presidente del Consiglio di Amministrazione della Stu. Questo il succo di quell’atto amministrativo: “….Che tale individuazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità e contestualmente approvare, ai sensi dell' art.1, comma 4, della legge 03.01.1978 n.l, la realizzazione di infrastrutture commerciali di cui all'art.13 della Legge 11.06.1971 n.426, di cui il Piano di zona è carente;” L’individuazione a cui questa delibera faceva riferimento riguardava un’area, quella a ridosso di via Giovanni Paolo I, destinata alla “riqualificazione” da parte della STU sammaritana. Un’area composta da varie particelle, ciascuna caratterizzata da una diversa e specifica destinazione , alle quali non si poteva certo attribuire una unitaria definizione sia catastale che urbanistica. Si trattava e si tratta ancora, infatti, secondo la minuziosa, attenta, irreprensibile, oggettiva ricostruzione operata dalla studiosa di cui www.casertace.it si è avvalso in questa ampia inchiesta sulla Stu di Santa Maria Capua Vetere, di terreni acquisiti al patrimonio comunale a seguito di esproprio nell’ambito della realizzazione di un piano residenziale economico popolare, quasi del tutto attuato. In particolare, queste aree, nell’ambito del Piano attuativo (Norme di Attuazione al Prg vigente) furono prevalentemente destinate a quegli standards urbanistici obbligatori per legge: sono infatti Aree ad uso pubblico per verde, gioco e sport";, attrezzature scolastiche, parcheggi, nonché strade di progetto e nuovi allineamenti", e solo in minima parte anche aree residenziali con aliquota non abitativa.
“Infrastrutture commerciali”, recita la delibera del 7 dicembre 1999. Con buona pace, quindi, dei servizi pubblici previsti dal Piano di Zona, di cui i sammaritani, sono, nella sostanza, se non nella forma, privati. La distinzione che dà corpo alla delibera è essenziale, dato che l’abilissimo Mazzotti proprio a partire da questo documento, è riuscito ad applicare sempre il sistema della “pezza a colore” per far quadrarle cose e del quale, nel corso di questa trattazione, ci occuperemo a lungo. Ma questa sua vulcanica attività non ha risparmiato a lui e ai sodali dell’Amministrazione comunale qualche scivolone clamoroso. Sempre nella delibera n.83/99 sui riscontra, infatti, un macroscopico errore, che innesca un processo di illegittimità amministrativa: il richiamo all’art. 13 della Legge 11.06.1971 n.426. Tale legge risulta, infatti, abrogata a partire dall’aprile del 1999 e cioè qualche mese prima della delibera in oggetto. In poche parole, senza scomodare similitudini bibliche, dato che la legge abrogata e sepolta è accostabile a Lazzaro, il nostro Mazzotti, con tutta la buona volontà, non ha certo le sembianze del Messia, il centro commerciale viene concepito con un seme scaduto. E questo, di solito, segna il destino del nascituro.
Di questo si sarebbe accorta qualche tempo dopo anche la Ctu del tribunale incaricata di valutare l’immobile e cioè il terreno di via Olanda in cui dovrebbe nascere il centro commerciale. Ma questa è un’altra storia che racconteremo poi.
Si è sempre detto che nelle leggi, nei regolamenti, nelle circolari che sono opera di deputati, senatori, alti dirigenti spesso non ferratissimi nelle loro competenze, mancasse la caratterizzazione dell’indiscutibile, trasparente, agevole chiarezza. Per cui, quelli che le leggi sono chiamati a interpretare, molto più svegli dei parlamentari che le hanno fatte e degli uffici studi che le hanno concepite, spesso sono in grado di piegarle ai loro interessi dato che riescono a leggerci il tutto, ma anche il contrario di tutto. Bene, l’Ufficio tecnico del Comune, che ha apparecchiato ogni singola riga delle delibere della Stu, doveva trovare nelle pieghe della legislazione qualcosa che fornisse il destro per evitare la tagliola della variante, le cui probabilità di passare al vaglio degli organi competenti erano, in pratica, pari a zero. Chi avrebbe potuto mai approvare in deroga al D.L. 1444/1968 l’eliminazione degli standard obbligatoriamente individuati per la realizzazione del Piano residenziale economico e popolare che era il cuore della destinazione d’uso dell’area in questione? Il richiamo a questo comma si risolse, in sintesi, nella utilizzazione della sua parte che faceva più comodo, che serviva al raggiungimento dell’obiettivo e cioè nella messa in evidenza del passaggio che regolamenta i casi in cui si può procedere senza dover adottare varianti al PRG, tralasciando, forse per distrazione o, non si sa fino a che punto volutamente, le ultime righe del comma medesimo, nelle quali si precisa che laddove si vadano a determinare modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali, si deve procedere attraverso la variante al PRG.
E in effetti, nel caso in specie non è stata considerata proprio quest’ultima parte del comma 4 dell’articolo 1 della legge numero 1 del 1978, che andava, invece, per motivi di lapalissiana considerazione, applicata alla lettera.
Ma la strada, ormai, era stata tracciata: per modificare la destinazione degli standard urbanistici sarebbe stata utilizzata la semplice delibera di costituzione di una STU attraverso la dichiarazione di pubblica utilità delle stesse aree, che, paradossalmente, erano già, ab origine, destinate ad uso pubblico, per potervi, dunque, insediare attività commerciali.
Ma che l’elusione, la fuga dalla procedura di Variante rappresentasse una licenza malferma e anche insicura, è chiaramente dimostrato dalla lettura della circolare ministeriale N. 622 del 2000 che mise ordine nella materia, fino ad allora raffazzonata, delle Stu. La circolare parla della “ipotesi di trasformazione che contrasti significativamente con le previsioni del piano regolatore generale riguardo le principali infrastrutture, le quantità edilizie e le funzioni prevalenti messe in gioco, ovvero non ne rispetti talune specifiche prescrizioni.
In quest’ultimo caso, il Comune, antecedentemente alla costituzione della Stu ed esperite le verifiche economiche di massima di cui al punto 3.1, deve procedere alla approvazione della variante al piano regolatore generale.
Il termine “ deve”, a casa nostra, è un modo indicativo che esprime, come si insegna già alla scuola media, il concetto di certezza, non di possibilità facoltativa. Lasciamo al lettore la facile considerazione sul fatto che quell’intervento andasse ad alterare o meno le previsioni del piano regolatore, le funzioni prevalenti messe in gioco, eccetera….
E ancora,cosa molto importante, la circolare mette in evidenza che deve essere salvaguardata la facoltà di osservazione ed eventualmente di opposizione all’intervento in oggetto di chiunque ne abbia interesse. “Naturalmente – è scritto testualmente - il Comune potrà avvalersi, a seconda del momento e della situazione, delle procedure più rapide consentite dalle norme in vigore a livello nazionale e regionale, salvaguardando, comunque, la facoltà di osservazione ed eventuale opposizione, in maniera tanto più estesa e articolata quanto più sia rilevante l’intervento."
E’ più che evidente, dunque, che l’amministrazione, non solo ha sottratto ai propri cittadini le aree di uso pubblico attribuite loro dal D.L.1444/1968, ma, contestualmente, li ha privati anche della possibilità di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento pone a loro disposizione per opporsi ad un tale evento, perché questo è stato abilmente camuffato, in modo da diventare difficilmente conoscibile. Insomma, un vero capolavoro di….. E anche in questo caso lasciamo il conio della definizione ai nostri affezionati internauti.
Fatto sta che ogni dubbio sull’identità non più in crisi dell’opera di trasformazione urbanistica della “Capua Antica Innova Spa” viene definitivamente fugato dallo stesso Giudicianni, il quale, nel frattempo, aveva smesso la divisa di assessore, indossando quella di presidente della Stu. Giudicianni, nella relazione del 24/3/2003 inviata al Presidente del Consiglio Comunale, descrive il progetto di trasformazione previsto, che riguarderebbe “una struttura immobiliare su tre livelli fuori terra per un totale di circa 6000mq edificabili, come destinato ad attività commerciali, di ristorazione ed uffici.” In particolare:
Pian terreno: in gran parte destinato ad un unico operatore per attività commerciali e di ristorazione
Parte restante dell'intero edificio : "Questa – scrive Giudicianni - è destinata ad accogliere attività commerciali e studi professionali.”
E la polifunzionalità e il senso sociale dell’opera? Come scritto prima, completamente scomparso, rimosso in toto. In parole povere, Giudicianni, nella sua relazione, svela la vera natura del manufatto. E la sua descrizione avvalora ulteriormente la tesi di www.casertace.it sulla necessità e sulla imprescindibilità dell’ adozione di una variante al Prg per poter legittimamente attuare quanto enunciato.
Ma non finisce qui: ad ulteriore conforto di quanto detto, l’architetto Tartarone, nonché dominus privato dell’iniziativa (leggi la prima parte dell’inchiesta linkano alla fine di questo articolo), in nome e per conto della Società. “Capua Antica Innova Spa” , cioè della Stu, inoltra, il 29 novembre del 2004, richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un centro commerciale. Permesso che viene rilasciato (sempre più spietato il nostro cacciatore di documenti) il 12/5/2005 ( n.55/2005) per la realizzazione di un centro commerciale in via Olanda che prevede due livelli interrati e 5 livelli sopra terra. Da una parte, il rappresentante del 51% in capo al socio pubblico, dall’altra il privato del 49%, in poche parole il 100 per cento della Stu dicono la stessa cosa: “CEN-TRO COM-MER-CIA –LE!!!!!!”. Puro, assoluto. Centro commerciale per vendere merce, affittare o alienare appartamenti uso ufficio, In poche parole, business purissimo. Che fine ha fatto, allora. il centro polifunzionale descritto nel bando di gara? Quali sono in realtà le utilità pubbliche che vengono perseguite dalla STU?
Un riferimento, seppur flebile, alle finalità pubbliche del progetto della “Capua Antica Innova Spa”, lo si scorge in un passo della già citata relazione del 2003, laddove l’attuale sindaco, allora presidente Giudicianni precisa “che gli introiti derivanti dalla vendita dell’immobile per la quota di competenza del comune saranno destinate alla realizzazione dello sport, del tempo libero e dei servizi sociali.” Fulgido esempio, insomma, di speculazione edilizia fatta a fin di bene. Sembra in definitiva che l’unica trasformazione a cui si assiste sia quella che vede la STU trasformarsi in una società immobiliare. Appare chiaro, in definitiva, che il Comune di S. Maria C.V . di fatto, non sta riqualificando il proprio territorio, ma lo sta piuttosto utilizzando alla stregua di un investimento a lungo termine, di sicuro vantaggio per i partners privati, ma privo di una qualunque pubblica utilità, a meno che non si voglia far passare il centro benessere, previsto nella versione 2003 del progetto, come servizio di pubblica utilità. Sa, di questi tempi, in cui il look è valore cardinale...!
LA NUOVA MOSSA DI TARTARONE - L’architetto Tartarone, dopo aver beneficiato della maxidilazione di cui abbiamo parlato nella prima parte dell’inchiesta, ma sulla quale ritorneremo ancora di qui a poco, non è ancora contento e vuole ulteriormente incidere sulla conformazione dell’opera. E così, noi di Casertace, dando un senso concreto all’uso del verbo al tempo presente, non più ostentato in chiave storica, facciamo un salto in avanti, trasferendoci quasi ai giorni nostri in questo lungo viaggio di inchiesta. Ed ecco che lo scorso 21 dicembre, Tartarone presenta all’UTC una relazione tecnica descrittiva per ottenere il rilascio della Variante al permesso di costruire di cui abbiamo parlato prima e cioè quello contrassegnato con il numero 55/2005, per la realizzazione di un centro commerciale ed alberghiero in via Olanda. Nella relazione il progettista scrive che: “per modificate esigenze di carattere tecnico, funzionale e di mercato si è ravvisata la necessità di apportare delle varianti al Permesso di Costruire n.55/05, che prevedono fondamentalmente una diversa distribuzione degli spazi interni nell’ambito delle stesse destinazioni d’uso mediante uno sviluppo più funzionale delle stesse, determinando “ tra l’altro” una riduzione della configurazione planovolumetrica dell’immobile rispetto a quello assentito.” E doveroso rilevare, come si parli di esigenze tecnico-funzionali e di mercato. Anche nell’anno di grazia 2007, settimo del terzo millennio, si parla di esigenze tecniche, funzionali e di mercato che non sono certamente legate al pubblico interesse. E anche su queste presunte contrazioni di palanimetria ritorneremo nell’ultima parte dell’inchiesta. Ma ora, proseguiamo per ordine nell’analisi dell’attività complessa messa in atto dall’Utc del Comune di Santa Maria in merito alle esigenze della Stu.
Dalla stima giurata, depositata circa un anno dopo aver ricevuto l’incarico, si evincono le molteplici difficoltà che il CTU ha riscontrato nel riuscire ad ottenere le necessarie documentazioni a stilare la perizia. E qui ci soccorre il nostro detective che ci rovescia sulla scrivania un altro paio di chiletti di carte complesse, ma utilissime a capire l’intera faccenda. Questo scrive il Ctu:
“Le indagini sono state effettuate in più fasi successive, viste le incongruità (sic!) di volta in volta incontrate dal C.T.U. nelle informazioni raccolte e nella documentazione prodotta dallo stesso .U.T.C. Nel dettaglio, si è verificato quanto segue (si veda la documentazione in Allegato E):…….
A seguito di richiesta del C.T.U. (pratica prot. n. 3591 del 31/01/2002), l'U.T.C. produce in data 11-'02/2002 un Certificato di Destinazione Urbanistica, nel quale si individuano per il terreno in oggetto le seguenti destinazioni:
- Zona C5-3 ("Residenziale con aliquota non abitativa - intervento diretto"), per porzioni delle particelle 3,162 e 155, nonché per l'intera p.lla 183;
- "Strade di progetto e nuovi allineamenti", per porzioni delle particelle 3,162,155, 184,185 e 213;
- Zona CI-167 ("Residenziale per l'edilizia economica e popolare") "Comprensorio CI-Nord",
per porzioni delle particelle 3,162,155,184,185 e 213, nonché per l'intera particella 46, il tutto "secondo le quantità che si evincono dalla allegata copia conforme " dello stralcio "della Tav. 7, "Particolare zonizzazione", del P.RG. approvato con Decreto dell'Assessore Regionale all 'Urbanistica della Regione Campania n. 8926 del 22/10/1983 ".
Uffà! sembra esclamare il perito del tribunale: ma ‘sto Mazzotti vuole arrivare al sodo o no?…A seguito di ulteriore istanza del CTU, l'U.T.C. fornisce in data 01/08/2002 una Dichiarazione attestante che il terreno in oggetto è individuato come "area di intervento per la costituzione di una Società di Trasformazione Urbana, giusta Delibera di Consìglio Comunale n. 83 del 07/12/1999" (che si allega). "In forza della citata Deliberazione, la sopradetta individuazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di approvazione di destinazione urbanistica ai sensi dell 'art. 1 della Legge 1/78". Per ulteriore chiarezza, si riporta quanto esposto al punto -7) della citata Deliberazione: "Darsi atto che tale individuazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità e contestualmente approvare, ai sensi dell'art. 1, comma 4, della Lesse 03/01/1978 n. 1, la realizzazione di infrastrutture commerciali di cui all'art. 13 della Legge 11/06/1971 n. 426, di cui il PdZ è carente ".
Si acquisisce, pertanto, che il terreno in oggetto, nell'ambito del Piano per l'edilizia economica e popolare "Ampliamento CI Nord", assume come destinazione urbanistica quella di area per la "realizzazione di infrastnitture commerciali di cui all'art. 13 della Legge 426/71".
“Tuttavia, si deve rilevare – scrive testualmente il Ctu nella sua perizia - che la suddetta Legge 426/71 risulta essere stata abrogata, con decorrenza dal 24/04/1999. dall'art. 26 del D.lgs. 31/03/1998 n. 114.”. Il perito, insomma, non ci sta a passare per ignorante e svela la barzelletta della norma contenuta nella legge che abbiamo definito, per ovvi motivi, “legge Lazzaro”. Ma il Ctu non va oltre, dato che il suo mandato non consiste certo nell’esercizio di un’indagine, ma è limitato alla valutazione di un terreno secondo la classificazione dello stesso determinato da una serie di atti amministrativi. Ma certo, alcuni passaggi della perizia, che ci siamo letti per intero insieme al nostro detective, l’accento che il perito mette sulla difficoltà di ottenere i documenti dal Ctu danno ad intendere che il tecnico nominato dal tribunale non deve aver tratto un’impressione molto positiva sull’operazione.
Ma quello che conta è solo l’atto della valutazione, come si diceva. E’ dunque, sulla scorta della Dichiarazione dell’ing. Mazzotti, che certo non è un Ctu a dover valutare in termini di legalità e/o di legittimità, il perito del tribunale valuta il terreno, assimilandolo alle zone commerciali e utilizzando conseguentemente i parametri che il PRG prevede per tali zone, e cioè densità fondiaria pari a 1,50 a metro cubo di volume per ogni metro quadro di estensione e altezza massima pari a 10 metri.
In base a tali parametri, dopo aver stabilito. Come già abbiamo scritto nella prima puntata della nostra inchiesta, la superficie totale del terreno in circa 13.178,00 mq, il CTU determina il valore del terreno fondandosi sull’intervento di trasformazione dello stesso, ovvero in relazione a ciò che vi si può realizzare. “Per la determinazione del valore di mercato del terreno in oggetto si procederà ad una stima sulla base del valore di trasformazione. Tale procedimento consiste nel determinare il valore di un immobile calcolando la differenza all'attualità tra il più probabile valore di mercato del bene trasformato ed il costo presunto della trasformazione. Per un'area edificabile la trasformazione consiste nella costruzione del fabbricato; il valore del bene trasformato è quello che avrà il fabbricato finito nel momento in cui risulterà vendibile o fruibile per gli usi ai quali è destinato, mentre il costo della trasformazione sarà quello necessario a produrre il fabbricato.” Trattasi di un concetto mutuato dalla matematica finanziaria, che enunciato così potrebbe anche apparire di difficile comprensione. In sintesi, comunque, utilizzando i valori citati, il CTU prevede che su quell’appezzamento si può realizzare un fabbricato la cui superficie coperta può essere al massimo di 1.970,00 mq, con un volume pari a 19.700,00 metri cubi la cui massima altezza è 10 m., per complessivi tre piani fuori terra ,di cui 2 con altezza di interpiano pari a 3,40 m ed 1 con altezza di interpiano pari a 3,20 ml. Tutto il lavoro del perito si conclude, nella determinazione di un valore complessivo del terreno in 2 milioni e 480mila euro ed il valore di mercato unitario i n 188,00 euro a metro quadro.
Insomma, Tartarone fa la voce grossa. E qui appare evidente la sua capacità (costruita chissà su che cosa) di condizionare l’esecutivo, visto che con la Delibera di Giunta n.337 del 29/9/2003 viene accettata la proposta avanzata dall’Assemblea dei soci della STU di poter conferire il valore del terreno, che il Comune dà in concessione alla società nelle ormai famose rate 99ennali di circa 25.000 euro,somme che il comune si impegna a conferire poi alla società come aumento di capitale della stessa.
Al di là della assoluta contrarietà di una siffatta previsione rispetto alla ratio della istituzione delle STU da parte del legislatore, che è bene ribadire vede con favore le società miste nell’ambito della trasformazione urbanistica principalmente, se non totalmente, per quella che dovrebbe essere l’ ingente disponibilità economica del socio privato, sarebbe opportuno far rilevare che, per statuto, la Capua Antica Innova Spa, a meno che non venga prorogata, prevede di sciogliersi nel 2070. Ordunque, dal 2005, data di stipula della convenzione, al 2070, si presume, con un calcoluccio di aritmetica spicciola, che avrà una vita di 65 anni. Ne consegue che, pur tenendo conto del fatto che le prime 11 rate sono state anticipate all’atto della convenzione, resti da definire l’identità, per il momento sinistramente e pericolosamente ignota, di chi dovrà pagare gli altri 14 canoni che resterebbero insoluti se la Stu dovesse sciogliersi nel 2070, come previsto da Statuto.
Ed ancora: quando, al termine dell’intervento, il complesso costruito sarà alienato chi pagherà i canoni di concessione del terreno? Mah!
Primo problema: L’evidente danno economico per il Comune, al quale la Stu corrisponde dei canoni annuali per la concessione del suolo evidentemente troppo bassi, posto che la loro quantificazione è stata calcolata in relazione al valore del suolo. La valutazione del terreno era stata, infatti secondo la stima giurata di 2.480.000,000 euro perché prevedeva una costruzione di volume massimo 19.767,00 metri cubi, con un’altezza massima di 10 metri, perché terreno a destinazione commerciale. In base, invece, al progetto di Tartarone, approvato il 5/5/2005 ed oggi in corso d’opera, sarà invece costruito un edificio di volume totale di 59.273,26 per un’altezza di circa 21,80 m., fabbricato che rende irrisoria la valutazione della stima giurata , in quanto la effettiva valutazione del suolo, sulla scorta dei parametri utilizzati nel chiedere ed ottenere il permesso di costruire, è circa il triplo rispetto a quello stabilito dal CTU, il quale era arrivato alla sua determinazione dopo aver combattuto mesi e mesi con l’Utc, che gli propinava destinazioni in pillole e sempre un po’ diverse l’una dall’altra, fornendo, chiara, la sensazione che l’Utc non si poneva rispetto a tale questione con un atteggiamento, diciamo così, laico, puramente tecnico, configurato sull’ortodossia delle regole che sovraintendono al rapporto tra due organi tecnici, quali sono, appunto, un Utc di un Comune della Repubblica italiana e un perito che agisce su delega di un tribunale della Repubblica italiana E’ del tutto evidente che i canoni concessori andrebbero, dunque, sostanziosamente rideterminati.
La prima è individuata in base al “Piano per l'edilizia economica e popolare "Ampliamento Cl-Nord approvato con D.P.G.R. n. 2492 del 12-10-1978, con la conseguenza che il suolo risulterebbe incluso parzialmente nelle Aree di uso pubblico per verde, gioco e sport, parzialmente nelle " Aree di parcheggio " -parzialmente interessato da " Viabilità " - parzialmente destinato per " Attrezzature pubbliche di interesse comune - parzialmente incluso nelle " Attrezzature scolastiche e solo una minima restante superficie destinata a " Lotti per 1' Edificazione Residenziale "
La seconda destinazione viene individuata ai sensi del PRG: indicandola per le singole particelle, le quali risulterebbero essere incluse in parte nella Zona C5-3, dove è consentita una edificazione con densità edilizia fondiaria totale di 3,00 mc/mq con una altezza massima di 22 mt.e in gran parte nell’ambito della Zona Cl-167
Insomma, quasi tutto e il contrario di tutto. Un certificato, si può dire, “flessibile”, in cui è contenuto tutto quello che può servire oggi e in seguito. Da tale certificato sembra difficile capire quale sia la attuale ed effettiva destinazione del suolo, anche perchè a questo stesso interrogativo aveva già risposto l’ingegnere. Mazzotti al CTU in sede di perizia per la valutazione del suolo in oggetto, quando attesta (scusate se ripetiamo la formulazione, ma in questo contesto tematico è fondamentale farlo per capire bene) che il “ il terreno in oggetto è individuato come area di intervento per la costituzione di una Società di Trasformazione Urbana, giusta Delibera di Consiglio comunale n. 83 del 07/12/1999. In forza della citata Deliberazione, la sopradetta individuazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di approvazione di destinazione urbanistica ai sensi del’l 'art. 1 della Legge 1/78"."….Darsi atto che tale individuazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità e contestualmente approvare, ai sensi dell'art. 1, comma 4, della Lesse 03/01/1978 n. 1, la realizzazione di infrastrutture commerciali di cui all'art. 13 della Legge 11/06/1971 n. 426, di cui il PdZ è carente".
Da queste parole si deduce, quindi, che il suolo dovrebbe avere una destinazione commerciale. Non sembra essere di tale avviso invece, il progettista della costruzione che ci occupa. Da una veloce e sommaria lettura della relazione esplicativa del progetto presentato all’UTC dall’arch. Tartarone per conto della “Capua Antica Innova Spa”, al fine di ottenere il permesso di costruire, si evince in base alla volumetria pari a 59.237,26 mc all’altezza massima di 21,80 metri, nonché l’indice fondiario di 4,50metri cubi per metro quadrato, che il progettista – co-concessionario, in quanto socio Stu, non ritiene affatto che la destinazione del suolo sia quella commerciale dove l’indice fondiario massimo previsto è di 1,5 metri cubi per metro quadro e l’altezza massima consentita è di 10 metri, che erano esattamente i parametri della valutazione del perito. E’ convinto, invece di trovarsi a progettare un edificio in Zona C, zona cui nella relazione si riferisce in merito alla verifica delle distanze.
E passando alla lettura dell’ultima relazione tecnica presentata nel Dicembre 2007 dallo stesso architetto Tartarone, avente ad oggetto :” Variante in corso d’opera al P.di C. n.55/2005 per la realizzazione di un fabbricato a destinazione commerciale-ricettiva”, si capisce qualcosa in più rispetto all’indice fondiario applicato.
Nelle premesse della relazione viene infatti spiegato che “l’indice assunto ai fini progettuali scaturisce dall’applicazione dell’art. 39 delle Norme tecniche di attuazione del PRG vigente, che stabilisce che . “per le aree di pubblica utilità o interesse comune si applica l’indice dell’ambito urbano in cui il lotto è contenuto”. Si asserisce quindi che poiché il lotto in oggetto ricade nel P.d.Z. EEP denominato “Comprensorio C1 Nord , si assume di conseguenza l’indice fondiario max di 5,00 metri cubi al metro quadrato per la progettazione del centro commerciale." Insomma, nel fumettone Stu mancava solo un richiamo diretto al vetusto Prg di Santa Maria Capua Vetere. Non sapendo più a che santo votarsi, per risparmiare in esborso e per guadagnare in volumi, il prode Tartarone ha deciso, dunque, di non usare quello che nella tragedia greca veniva definito “il deus ex machina” (ἀπὸ μηχανὴς θεός, ‘sto liceo classico, sennò che l’abbiamo fatto a fa’) un dio che, a sorpresa, alla’apice di un rudimentale, ma, per l’epoca, geniale dispositivo meccanico, irrompeva sulla scena a aggiustava tutto.
Ma questo richiamo provvidenziale e funzionale non è solamente sorprendente, ma innesca nuovi dubbi , rispetto ai quali, per la loro delicatezza, ci conviene ancora di piantarla di fare i cretini e di recuperare, per qualche riga, l’aplomb della fredda trattazione tecnica. Ci si chiede: è legittimo applicare l’articolo 39 delle Norme di Attuazione del Prg? Se la risposta dovesse essere positiva, in base a cosa viene individuato l’ambito, visto che il suolo non si trova in nessuno dei sette ambiti individuati dal Prg ?
Indirettamente, viene di fatto affermato che il suolo riguarda aree di pubblica utilità tralasciando, però di specificare che si tratta di standards urbanistici sui quali , ai sensi del D.L. 1444/1968 , non potrebbero essere costruiti “Centri Commerciali”. La logica, dunque, appare sempre la stessa: si utilizza, con un’applicazione quasi subliminale, del metodo dell’adeguamento, solo una parte della norma, quella in grado di produrre un vantaggio per chi investe, tralasciando la parte che può generare problemi alla realizzazione di tali interessi.
Appare opportuno, al riguardo, precisare che le zone per attrezzature di interesse comune e generale cui si riferisce l’art.39 delle Norme di Attuazione del vigente Prg sono quelle destinate ad uffici pubblici e parapubblici, a servizio di quartiere urbano o territoriale, a servizi pubblici, mercatini, organismi sociali , civici, religiosi , culturali assistenziali, nuclei sanitari elementari. Ne consegue, posta la specifica destinazione delle aree in oggetto , che non solo previsti insediamenti di centri commerciali e affini.
Il fabbricato consisterà in:
Primo livello interrato : Area destinata a parcheggio, di superficie complessiva di circa 2.335,49 mq mentre la restante area è occupata da locali deposito,servizi e locali tecnici
Secondo livello interrato: :Ampia area di parcheggio, dalla superficie complessiva di circa 4.668,40mq
Piano terra: E’composto da diversi ambienti dalle diverse dimensioni tutti a destinazione di locali commerciali (sup. complessiva 3129.98mq .x h 4m),serviti da ampi percorsi coperti posti intorno alla piazza circolare centrale ( superficie complessiva 715,02mq )
Primo piano: Stesso schema distributivo del piano terra ad esclusiva destinazione commerciale (superf.compl. 2562,61 mq.) e serviti da ampi percorsi coperti orizzontali che si affacciano sulla piazza centrale sottostante ( sup. compl. 2.700,31 mq)
Secondo piano: Diversa distribuzione planimetrica perché la destinazione d’uso degli ambienti è di tipo
ricettivo e tempo libero , due blocchi semicircolari sul versante est dalla superficie totale di 733,91 mq destinati a 16 camere per piano,serviti da due blocchi disposti simmetricamente sul versante ovest dalle dimensioni di 250,00mq destinato a sala ristorante e centro benessere con i relativi servizi servito da ampi percorsi disposti attorno all’hall-reception
3°,4°,5° piano : Si sviluppano solo limitatamente ai corpi semicircolari delle camere che coprono una superficie complessiva di 733,91mq per livello raggiungendo un’altezza massima di 21,80mt sul solaio di copertura dei suddetti corpi edilizi ; mentre la copertura dei primi tre livelli è posta a quota 12,80 mt.
La realtà delle cose non sta, però, in questi termini. O meglio, la riduzione riguarda gli aspetti non legati direttamente allo sfruttamento economico del manufatto (percorsi interni e corridoi) mentre, come il nostro grande detective dimostra nelle tabelle che si possono consultare clikkando sl link in arancione qui sotto o in quello in azzurro in home page o nella pagina di Santa Maria Capua Vetere, i volumi e le superfici utilizzati per le attività commerciali, in realtà, aumentano.
Comunque , sembra che problemi ai residenti la STU li abbia già procurati, li avrebbe infatti lasciati senza acqua per un po’, perché sembra che nello scavare abbiano danneggiato le condutture dell’acqua. Altre verifiche cui induce la relazione tecnica riguarderebbero le distanze dal ciglio della strada e dagli altri edifici . Qualche residente della cooperativa D.C., ha infatti l’impressione che queste non siano rispettate, ma per poterne essere sicuri bisognerebbe vedere i progetti o attendere che sia realizzato. Allora ne potremmo essere senza dubbio sicuri ma non si potrà probabilmente fare più nulla.
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